LE PRIME APPLICAZIONI DELLA NUOVA LEGGE SULLA LEGITTIMA DIFESA RIDIMENSIONANO L’AMBITO DI OPERATIVITÀ DELLA SCRIMINANTE

Come ricorderete, il tema della nuova legge sulla legittima difesa è stato già affrontato in due precedenti scritti presenti su questo sito.

I. In data 1.04.2019, infatti, è stato pubblicato un articolo intitolato “La nuova legge sulla legittima difesa”, nel quale si dava conto del fatto che, dopo l’approvazione del Senato del 28 marzo 2019, il Ddl sulla legittima difesa diventava Legge 26 aprile 2019 n. 36, recante “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”, con entrata in vigore il 18 maggio 2019.
Veniva quindi evidenziato come l’assunto cardine del testo di legge approvato in via definitiva potesse essere riassunto nell’affermazione secondo la quale la difesa in casa è sempre legittima, il che significa che la reazione all’aggressione o alle minacce subite in casa o sul posto di lavoro è da considerarsi sempre “proporzionata”, dunque è sempre giustificata.
Di conseguenza, non è punito chi, “in stato di grave turbamento”, reagisce all’aggressore.
L’articolo 1 della legge ha infatti modificato l’articolo 52 del codice penale sulla “difesa legittima”, precisando che nei casi di legittima difesa domiciliare si considera “sempre” sussistente il rapporto di proporzionalità tra la difesa e l’offesa. Il disegno di legge ha poi aggiunto un ulteriore comma all’articolo 52, per il quale si considera “sempre in stato di legittima difesa” chi, all’interno del domicilio e nei luoghi ad esso equiparati, respinge l’intrusione da parte di una o più persone “posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica“. Al domicilio è equiparato ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

Con una modifica all’art. 55 del codice penale in materia di “eccesso colposo”, la nuova legge ha poi escluso, nelle varie ipotesi di legittima difesa domiciliare, la punibilità di chi, “trovandosi in condizione di minorata difesa o in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo, commette il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità“, cioè quando l’aggressore agisce in “circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa“.
In particolare, l’art. 2 della nuova normativa ha inserito un ulteriore comma all’art. 55 c.p., specificando che nei casi di violazione del domicilio o del luogo di lavoro, se si è agito per difendere se stessi o qualcun altro, cioè se ci sono tutte le condizioni previste dall’art. 52 c.p., non può essere punito chi ha agito in “stato di grave turbamento” a causa della situazione di pericolo in atto.

II. In data 3.09.2019, poi, su questo sito è stato pubblicato il testo integrale del mio intervento al Convegno DIPPOL del 29.05.2019 sul tema “Uso legittimo delle armi e modifiche normative in tema di Legittima Difesa”, nel quale avevo preso in esame “La legittima difesa domiciliare”.
Dopo aver rilevato come la nuova legge fosse stata fortemente voluta dall’allora Vice Premier Matteo Salvini, avevo sottolineato come le modifiche introdotte riguardassero la disciplina della causa di giustificazione della legittima difesa di cui all’art. 52 c.p..
Il novum introdotto dalla Riforma c.d. Salvini è dato semplicemente dall’inserimento, al secondo comma dell’art. 52 c.p., dell’avverbio “sempre”. Per cui, se taluno legittimamente presente all’interno di un domicilio, o di uno dei luoghi ad esso equiparati, “usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

  1. la propria o altrui incolumità;
  2. i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione,

sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al comma 1 dell’art. 52, c.p..
Con l’avverbio “sempre” il Legislatore ha voluto inserire una presunzione di proporzione tra difesa e offesase si usa un’arma nei limiti di cui si è appena detto.
Avevo quindi rilevato che la novità più importante della difesa legittima domiciliare è però data dall’inserimento del quarto comma dell’art. 52 c.p..
Con il suo contenuto, il quarto comma non costituisce più una presunzione di proporzione tra difesa ed offesa, ma pone una presunzione totale di legittima difesa.

Infatti, secondo tale nuovo comma, si considera sempre in legittima difesa “colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”.

Dunque, il novum, nel secondo comma è dato dalla presunzione assoluta di proporzione tra difesa ed offesa; nel quarto comma è rappresentato dal fatto che non si parla più di presunzione rispetto ad uno degli elementi della legittima difesa, ma si parla di presunzione totale di legittima difesa allorchè si è all’interno di un domicilio o di un luogo ad esso equiparato (luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale) ed il soggetto respinga un’intrusione nel proprio domicilio, che sia violenta o minatoria(“posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”).

Lo slogan politico della Lega, che ha accompagnato la legge di riforma è stato: “La difesa è sempre legittima” e, con le modifiche introdotte nell’art. 52 c.p. i politici hanno pensato di aver dato concretezza al loro slogan.

Il Legislatore del 2019 ha pensato di dover garantire l’immunità dell’aggredito in casa rafforzando la presunzione di proporzione tra difesa ed offesa, rendendola “assoluta”, invincibile, statuendo al secondo comma dell’art. 52, in parole povere, che io, a casa mia, in presenza dei requisiti previsti dalla norma, posso difendermi con la forza fino all’uso massimo, ossia usando l’arma. Ai sensi dell’art. 52, comma 2 c.p., il limite della difesa dei beni patrimoniali è rappresentato dal fatto che l’aggressore non desista e che ci sia pericolo di aggressione.

Ha quindi introdotto per la prima volta, al quarto comma dell’art. 52 c.p., una presunzione totale di legittima difesa, che non si era mai vista nel nostro sistema penale.
Con riferimento al testo del quarto comma, nell’intervento al Convegno dello scorso 29 maggio, avevo sottolineato che, se ci si ferma alla lettera della legge, siamo di fronte, appunto, ad una presunzione assoluta di legittima difesa perché, sempre secondo la lettera della nuova legge, per escludere la rilevanza penale del fatto realizzato non è necessario verificare l’esistenza dei requisiti principali della legittima difesa e non si dovrebbe verificare neanche l’esistenza della necessità della difesa che, invece, è il dato portante della scriminante della legittima difesa.

E che la necessità della difesa sia il requisito fondamentale della legittima difesa lo dice la storia giuridica del nostro Paese, lo dicono i trattati internazionali, lo dicono il comma 1 dell’art. 52 c.p., laddove dispone che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.

Il dato strutturale della causa di giustificazione sta nella necessità della difesa.
Ebbene, il Legislatore del 2019 lo ha volontariamente cancellato.
Dopo l’attenta analisi della nuova normativa e dopo la considerazione secondo la quale, mediante le modifiche apportate, il Legislatore leghista, dal suo punto di vista, poteva ritenere di aver raggiunto l’obiettivo politico lanciato con lo slogan “La difesa è sempre legittima”, mi ero chiesto se il Giudice italiano, in applicazione del secondo comma dell’art. 52 c.p., avrebbe potuto mai affermare che l’aggredito possa tutelare i propri beni patrimoniali incidendo sull’incolumità personale dell’aggressore e, in applicazione del quarto comma dell’art. 52 c.p., giustificare la morte di un aggressore introdottosi in casa al solo fine di rubare, cancellando i requisiti principali della necessità, del pericolo attuale, della proporzione e rinnegando inoltre, in ossequio alla contingente volontà politica del Legislatore leghista, fior di principi e valori posti dalla nostra Carta Costituzionale.
Avevo quindi ipotizzato e formulato la prognosi che il Giudice italiano, restando fedele al testo della Costituzione, si sarebbe in qualche modo allontanato dalla lettera della nuova legge.

III. Ebbene, ora posso dire che la Cassazione mi ha dato ragione, infatti, nella recente sentenza del 10 ottobre-10 dicembre 2019, n. 49883, la Terza Sezione Penale ha giustamente ricondotto nei binari del rispetto della Costituzione l’interpretazione della legge 26 aprile 2019, n. 36.

Nel caso di specie, la Corte Suprema era stata investita del ricorso avverso una sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli che, in parziale accoglimento dell’impugnazione della sentenza di Primo grado, aveva riqualificato il reato di omicidio doloso nei confronti dell’imputato, in quello di omicidio colposo per eccesso di reazione in legittima difesa, confermando inoltre la sua responsabilità per il delitto di distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere, di cui all’art. 411 c.p..
La decisione della Corte ha riguardato il caso di un cittadino che, nottetempo, dopo essersi svegliato per aver sentito dei rumori sospetti, accortosi che un malintenzionato stava tentando di entrare in casa sua dalla finestra sul balcone, che dava sulla camera da letto in cui dormivano i suoi tre figli, lasciata aperta per il caldo, imbracciato un fucile legalmente detenuto, era uscito sul balcone e aveva fatto fuoco, ad altezza uomo, all’indirizzo di colui che aveva tentato di introdursi nella sua abitazione, benchè questi avesse momentaneamente desistito dall’azione illecita poiché, accortosi di essere stato notato, si era allontanato nascondendosi nel cortile antistante l’abitazione, al fine di verificare se il furto fosse definitivamente sfumato oppure no. L’imputato, ucciso l’uomo, raggiunto in organi vitali dai colpi da lui esplosi, ne aveva poi gettato il corpo in un fiume.
Il fatto che, come detto, era stato inizialmente qualificato come omicidio doloso dal giudice di prime cure, all’esito del giudizio di secondo grado era stato riqualificato come omicidio colposo per eccesso di reazione in legittima difesa.

La Corte di Assise d’appello, infatti, pur ritenendo che l’imputato avesse effettivamente agito mosso dalla convinzione “di dover difendere se stesso, la propria famiglia ed i propri beni da malintenzionati”, aveva escluso la possibilità di ravvisare un’ipotesi di legittima difesa, sia reale che putativa, giungendo invece a definire eccessiva la reazione dell’uomo. Costui, come appena detto, svegliato da alcuni rumori ed uscito quindi sul balcone dell’abitazione, aveva fatto fuoco verso l’intruso, il quale però, vistosi scoperto, si era nel frattempo allontanato dalla finestra attraverso cui stava cercando di entrare e si trovava – al momento dello sparo – ad alcuni metri di distanza, pur sempre all’interno del cortile, in attesa di capire se l’occasione per il furto fosse definitivamente sfumata oppure no.

In tale circostanza, secondo l’impugnata sentenza, l’imputato avrebbe ben potuto cercare di interrompere l’azione criminosa (ancora in atto e tuttavia già ridimensionatasi nei suoi connotati) mediante un semplice uso dimostrativo dell’arma, dissuadendo il malvivente con uno sparo in aria anziché con un colpo rivolto ad altezza d’uomo. Il ladro aveva infatti momentaneamente desistito dall’azione illecita e tale circostanza non avrebbe più richiesto la lesione fisica dell’aggressore. Sarebbe infatti stato sufficiente, ad interrompere l’azione criminosa, il solo uso dimostrativo dell’arma, senza invece sparare ad altezza uomo. Da qui la considerazione dell’azione eccessiva da parte dell’imputato, caratterizzata da una condotta non più proporzionata all’offesa effettivamente in essere nel momento in cui era stato esploso il colpo.

Nell’affrontare le censure mosse dal ricorrente, quindi, la Suprema Corte osserva innanzitutto come, alla luce della ricostruzione del fatto operata nei giudizi di merito, “sia stata correttamente esclusa la sussistenza della causa di giustificazione della legittima difesa, sia reale, sia putativa”, non incidendo su tale conclusione le modifiche apportate all’art. 52 c.p. ad opera della L. 36/2019.
La sentenza in esame, affrontando quindi la tematica della legittima difesa domiciliare anche alla luce della nuova disciplina normativa, ha stabilito la massima secondo la quale: “In tema di legittima difesa, anche alla luce del novum normativo di cui alla legge  26 aprile 2019 n. 36, e della ivi prevista presunzione di proporzionalità inserita nell’art. 52 del Cp., è da ritenere pur sempre che, per la sussistenza della scriminante, anche nei confronti di chi commetta fatti di violazione di domicilio ai sensi dell’art. 614, commi 1 e 2 del Cp(situazione cui è parificata la commissione di fatti avvenuti all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale), sia necessario il concorso dei presupposti dell’attualità dell’offesa e dell’inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità” (nella specie, è stata esclusa la sussistenza della scriminante della legittima difesa nella condotta dell’imputato – in esito al giudizio di merito condannato per il reato di omicidio colposo, per eccesso colposo – il quale, nottetempo, dopo essersi svegliato per aver sentito rumori sospetti, accortosi che un malintenzionato stava tentando di entrare in casa propria dalla finestra sul balcone, aveva esploso più colpi, ad altezza d’uomo, all’indirizzo dell’uomo, benchè questi avesse momentaneamente desistito dall’azione illecita, essendosi allontanato dal balcone e posizionato nel cortile, sotto a un albero, al fine di verificare se il furto fosse definitivamente sfumato oppure no)”.

Ciò che la sentenza in esame riafferma è dunque la necessità di un rigoroso accertamento degli altri requisiti della legittima difesa, “vale a dire la necessità di reagire ad un’offesa in atto”, dovendosi al contempo valutare con attenzione anche l’esistenza di una tra le due alternative condizioni a cui la stessa legge subordina l’operatività della menzionata presunzione. In questo senso – spiega la Corte – “l’uso di un’arma – purché legittimamente detenuta – può dirsi reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all’interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, nei quali il legislatore ha ritenuto maggiormente avvertita l’esigenza dell’autodifesa, a patto che, appunto, il pericolo di offesa ad un diritto (personale o patrimoniale) sia attuale e che l’impiego dell’arma quale in concreto avvenuto sia necessario a difendere l’incolumità propria o altrui, ovvero anche soltanto i beni se ricorra pur sempre un pericolo di aggressione personale”.

Non potrà dirsi scriminato, invece, l’impiego offensivo di un’arma contro la persona che, pur trovandosi ancora illecitamente all’interno del domicilio, delle appartenenze o dei luoghi equiparati, non stia tenendo una condotta da cui possa ravvisarsi l’attualità del pericolo di offesa alla persona o ai beni che esiga una preventiva reazione difensiva, dovendosi questa ritenere ingiustificata qualora difetti il carattere della necessità alla difesa.
La presunzione di proporzione circa l’uso dell’arma potrà dirsi operante se il reo non desiste dall’azione criminosa e sussiste il pericolo, ancorché non attuale, e pur tuttavia concreto, che questa possa trasmodare in un’aggressione alla persona.
Ed è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui il ladro si trovava in una posizione di attesa e la situazione di pericolo non era attuale al punto da giustificare l’uso preventivo della micidiale arma impiegata per far fuoco contro la persona. Non opera, dunque, la presunzione di proporzionalità poiché manca quel pericolo attuale che l’art. 52, primo comma, c.p. continua a richiedere.

È nemmeno poteva dirsi sussistente il pericolo di offesa ai beni, pur attuale, ma scemato, non essendosi ravvisato, anche per la distanza e la reciproca posizione, un pericolo di aggressione alla persona.
Tale conclusione è imposta, oltre che dall’interpretazione del codice penale, anche dal doveroso rispetto delle previsioni ricavabili dalla Costituzione lette nell’ottica degli obblighi internazionali assunti dallo Stato, richiamati nel provvedimento in esame.

 

IV. Eccesso colposo e stato di grave turbamento.

Ma la vicenda non si conclude qui, poiché i magistrati della Cassazione ritengono di accogliere la doglianza secondo cui la condotta del ricorrente potrebbe rientrare nel novellato art. 55 c.p. stante l’accertato stato di grave turbamento in cui, secondo la sentenza impugnata, si trovò l’imputato in conseguenza della situazione di pericolo in atto.

Analizzando i motivi di ricorso, pertanto, la Cassazione ritiene che la condanna per omicidio colposo per eccesso di reazione da legittima difesa debba essere rivista per valutare lo stato di significativo turbamento di colui che ha sparato ed ucciso il ladro.
La legge n. 36/2019 ha infatti inciso significativamente sull’art. 55 c.p. e ristretto l’ambito del penalmente rilevante, in particolare escludendo la punibilità se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto.

Pur non essendo facile ricostruire un elemento psicologico interno come il grave turbamento che la legge vuole prodotto dalla situazione di pericolo in atto del soggetto agente al momento del fatto, il giudice di merito dovrà agganciare il giudizio a parametri oggettivi.
Questo ha precisato la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 49883/2019, in esame, accogliendo sul punto il ricorso dell’imputato ed ha quindi annullato la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione sulla causa di non punibilità di cui al comma 2 dell’art. 55 c.p., introdotto dalla L. n. 36/2019.

 

Avv. Massimo Biffa

Roma, gennaio 2020