43^ Edizione del Convegno di Polizia Locale. Rassegna su alcuni argomenti di rilievo.
43^ EDIZIONE DEL CONVEGNO DI POLIZIA LOCALE
RASSEGNA SU ALCUNI ARGOMENTI DI RILIEVO
I. Anche quest’anno la DIPPOL ha partecipato alle Giornate di Polizia Locale e Sicurezza Urbana, giunte alla 43^ edizione, con una rappresentanza dello Studio Legale Biffa & Associati, unitamente ad alcuni iscritti DIPPOL.
Lo Studio legale Biffa ha inoltre curato con successo una sessione del Convegno, intitolata “Tecniche di Polizia: Uso legittimo delle armi per gli operatori della Polizia Locale” che ha visto come relatori l’Avv. Massimo Biffa, titolare dello Studio Biffa & Associati, che ha affrontato il tema: “L’uso legittimo delle armi dal codice Rocco ad oggi”; il Dott. Alberto Intini, già Prefetto in quiescenza, che si è soffermato sul tema: “La legislazione sulle armi: aspetti amministrativi e penalistici” e l’Avv. Stefano Pasquetti, dello Studio Biffa, che ha trattato il tema: “L’uso legittimo delle armi nella giurisprudenza della Cassazione. Focus sulla scriminante putativa e sull’eccesso colposo”.
Posto che il contenuto degli interventi dei tre relatori sarà pubblicato sul sito della DIPPOL, sembra interessante offrire una veloce panoramica di altri temi trattati in questo grande evento nazionale in tema di Polizia Locale.
Indicherò quindi molto sinteticamente, a titolo di esempio, alcuni dei principali temi presenti nell’ampio programma convegnistico di Riccione articolato, come di consueto, in tre giornate, suddivise in sessioni tematiche, che si sono tenute sia la mattina che nel pomeriggio, per poi soffermarmi sull’importante argomento di alcuni dei principali reati contro la Pubblica Amministrazione..
II. Nella prima giornata si è svolta una sessione intitolata “Polizia ambientale”, nel corso della quale i relatori che si sono avvicendati, moderati dal Dott. Giovanni Giorgio, già Magistrato e Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata, nonché Docente a contratto di diritto penale presso l’Università Lum di Casamassima, hanno affrontato i seguenti temi:
il Direttore Ambiente Città di Torino, Dott. Gaetano Noè, ha parlato di “DL n. 105/2023 e abbandono rifiuti da parte di privati: Ordinanza, Regolamento o TUA”.
Il Funzionario della Città Metropolitana di Napoli, Dott. Gaetano Alborino, ha illustrato la “Disciplina sanzionatoria degli scarichi idrici provenienti da autolavaggio” e infine, il già Comandante PL Osvaldo Busi, si è soffermato su “La gestione dei rifiuti del cantiere edile”.
III. Di particolare interesse anche la sessione dedicata a “Violenza di genere: nuove prospettive di Polizia Giudiziaria per la PL” nella quale, tra gli autorevoli e competenti relatori, il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, Dott. Christian Del Turco, ha parlato del “Contrasto alla violenza di genere” e, dopo aver specificato che quando si parla di violenza di genere si fa riferimento alla violenza sulle donne, ha spiegato che, sebbene da un punto di vista numerico e statistico la maggior parte degli omicidi vengano commessi da uomini contro altri uomini, l’attenzione riservata al fenomeno violenza di genere discende da un dato valoriale, che si ritrova anche in campo internazionale, e che deriva dal fatto che, in questi casi, la violenza viene esercitata nei confronti della donna “perché donna”. Quindi è una violenza che ha una matrice discriminatoria.
Il Dott. Del Turco ha proposto quindi la distinzione tra violenza domestica e violenza di genere, rilevando che non c’è sovrapposizione tra i due concetti, atteso che la violenza domestica può anche non essere di genere e la violenza di genere può non essere violenza domestica.
Volendosi poi porre la domanda se oggi il fenomeno sia in aumento oppure sia soltanto più evidente per maggiore sensibilità e cultura sociale, il relatore ha rilevato che non è possibile dare una risposta perché non esiste una raccolta storica di dati sull’argomento.
Il Dott. Del Turco ha poi fatto rilevare che, spesso, le evoluzioni sociali generano situazioni che possono dare occasione di conflitto tra generi e questo tema assume rilievo rispetto all’approccio che viene usato per contrastare il fenomeno.
E quindi, ove si ritenesse che il fenomeno abbia dimensione di urgenza, data esclusivamente da un aumento numerico, allora sarebbe giustificato un approccio urgente, con carattere contingente, che soddisfa, ma fino a un certo punto.
Ove invece si riconoscesse al fenomeno un profilo di tipo culturale, più immanente al sistema, e il fenomeno fosse quindi sistemico (ad esempio legato al patriarcato), allora non verrebbe più affrontato come “urgenza”, ma come “priorità”, che è molto più stabile della contingenza e dell’urgenza.
Non c’è dubbio che il fenomeno della violenza di genere abbia una dimensione sociale, culturale, psicologica e infine una dimensione giudiziaria. Perciò, anche il contrasto dovrebbe avere un approccio prima sociale, culturale e poi, naturalmente, anche giudiziario.
L’approccio giudiziario presuppone la verificazione di un reato. Segue il reato. E ciò dovrebbe darci l’idea di come esso sia residuale, poiché interviene quando gli altri approcci abbiano fallito, non siano stati sufficienti.
L’approccio giudiziario infatti prende in considerazione il singolo caso, il singolo reato, post factum. È quindi un approccio di tipo special repressivo.
La tendenza è invece quella di affrontare il fenomeno e non il singolo caso ed è infatti di tipo general preventivo. Esistono perciò degli istituti che denotano il passaggio dalla repressione alla prevenzione.
Dopo l’intervento del Dott. Del Turco, che è stato molto impegnativo e “raffinato”, l’approccio della Dott.ssa Barbara Pollaro, Responsabile del Nucleo PG della Polizia Locale di Padova, ha avuto un taglio di tipo più pratico, evidenziando che, per gli appartenenti alla PL, la formazione è fondamentale per affrontare scene di maltrattamento e di violenza.
La Dott.ssa ha raccontato di come sia anche capitato che la donna vittima di maltrattamenti e violenze si sia rivolta ai Vostri colleghi in occasione del servizio di viabilità, facendo in qualche modo comprendere all’operante che versava in una situazione di grande difficoltà e che aveva bisogno di essere aiutata. E soltanto una formazione mirata ed adeguata ha consentito all’operante di Polizia Locale di cogliere il segnale e intervenire.
IV. Molto interessante anche la sessione che si è tenuta nella mattina del 21 settembre, intitolata “Intelligenza artificiale in azione: guida al prompting per la Polizia Locale e casi pratici di utilizzo”, nel corso della quale, la brillantissima Avv. Giovanna Panucci, esperta in materia di privacy, protezione dei dati e intelligenza artificiale, Founder della Community Gladiatori Digitali e direttrice di Città Sicure Digitali, ha illustrato ad un interessato pubblico di Vostri colleghi, che già si avvalgono dell’ausilio dell’intelligenza artificiale, le modalità per ottimizzare l’uso della CHAT GPT che, come molti di Voi sapranno, è Generative AI, ossia intelligenza artificiale generativa, che utilizza tecniche di apprendimento automatico per generare testo, e non solo.
L’Avv. Panucci ha spiegato molto bene l’importanza della corretta impostazione e formulazione del “Prompt” – che potremmo definire come la richiesta che viene fatta nella Chat GPT – per interagire con lo strumento ed ottenere testi corretti, soddisfacenti e, a volte, completi anche delle fonti di riferimento, da utilizzare nel lavoro della Polizia Locale, ad esempio per la redazione di relazioni, verbali ed annotazioni.
È infatti importantissimo conoscere le metodiche per la migliore formulazione del prompt per ottenere risultati ottimali.
Inutile dire che il tema, di sicuro interesse ed attualità, affascina e stupisce per le infinite possibilità di impiego pratico che, come raccomandato dalla relatrice, richiedono sempre un attento controllo e molta cautela da parte dell’utilizzatore, soprattutto con riferimento all’inserimento di dati.
L’Avv. Panucci ha infine ribadito che non ha senso pensare che l’IA possa sostituire l’uomo che ne fa uso, ma bisogna essere consapevoli del fatto che l’uomo deve imparare a dominare questo strumento straordinario ed innovativo.
V. A questo punto, un tema di sicuro interesse, sul quale è utile soffermarsi, è stato quello della sessione intitolata: “Polizia Giudiziaria: I principali reati contro la Pubblica Amministrazione”, nel cui ambito sono stati trattati l’argomento “Il codice degli appalti: il traffico di influenza illecita” e l’altro “Nuovi reati del pubblico ufficiale: dalla turbata libertà degli incanti, all’accesso abusivo alle banche dati”.
Nel recentissimo 43° Convegno di Riccione, questi argomenti sono strati esposti in aula rispettivamente, il primo, dal Tenente Emanuele Fontanot, del nucleo di Polizia economico-finanziaria, della Guardia di Finanza Comando provinciale di Rimini e il secondo dall’Avv. Antoni Maria La Scala, penalista specializzato in diritto penale militare, reati contro la PA e diritto penale dell’impresa.
In queste brevi note mi atterò quindi a quanto illustrato a Riccione dai brillanti Relatori.
V.1. Come ricordato dal Tenente Fontanot,, sia il Codice degli Appalti che il traffico di influenza illecita presentano profili di novità perché il Codice degli Appalti, introdotto nell’aprile 2023, è entrato in vigore a pieno regime nel corso del 2024 ed anche il traffico di influenze illecite è stato riformulato dall’art. 1, comma 1, lettera e) della L. 9 agosto 2024, n. 114 (Legge Nordio) ed è entrato in vigore lo scorso 25 agosto.
V.1.1. Il relatore ha spiegato che nel 2001 un decreto ha riformulato le competenze del Corpo della Guardia di Finanza stabilendo che esso ha competenza nell’asse del crimine economico-finanziario, settore nel quale rientra l’appalto.
Come noto, nel mondo degli appalti si muovono miliardi di euro, soprattutto ora, a seguito del PNRR.
Appunto sulla spinta del PNRR, il Codice degli appalti è stato snellito ed è stato riformulato, sostituendo quello del 2016. L’intento è stato quello di semplificare le procedure e renderle trasparenti.
Un mezzo che favorisce la trasparenza è sicuramente la creazione del fascicolo digitale, che diviene protagonista dell’intero ciclo dell’appalto.
Le nuove procedure introdotte garantiscono fiducia e accesso al mercato.
Il relatore ha poi sottolineato come oggi, nell’ambito degli appalti, non si attribuisce importanza all’offerta più vantaggiosa, ma viene riconosciuta maggiore importanza al valore tecnico dell’offerta, rispetto a quello economico.
Lo scopo del nuovo Codice degli appalti è quello di ridare fiducia alle amministrazioni, con maggiore discrezionalità.
Non si può non rilevare, però, che il mondo degli appalti è da sempre un mondo di interesse per la mafia: per utilizzare manodopera, fare controllo del territorio e introdursi nel sistema economico.
V.1.2. Passando ad occuparsi del reato di traffico di influenze illecite, il Tenente Fontanot ha rappresentato come l’art. 346bis c.p. sia stato inserito nel nostro codice penale nell’anno 2012, con la Legge 6 novembre 2012, n. 190.
Tale reato è considerato un presidio rispetto al fenomeno corruttivo, in quanto anticipa la corruzione. Prima del 2012, nel nostro sistema penale esisteva soltanto il reato di millantato credito, corrispondente alla c.d. “vendita di fumo” del diritto romano.
La fattispecie venne accolta con favore, atteso che fino al 2012 i molti dubbi applicativi portavano ad una applicazione estensiva del reato di millantato credito. La formulazione del 2012 però, non consentiva di stabilire con precisione la differenza tra le forme lecite di rappresentanza (lobbing) e le mediazioni illecite e il traffico di influenze.
Ancora oggi, però, non esistendo una normativa sulle lobby, il contrasto non è stato sanato.
Mancava la definizione di mediazione illecita e vi era quindi un problema di tassatività della norma, con conseguenti difficoltà nel dimostrare la sussistenza del reato.
Tutte queste difficoltà hanno reso necessario l’intervento legislativo del 2019 che, con la Legge n. 3, del 9 gennaio 2019, c.d. “Spazzacorrotti”, ha riformulato la norma eliminando il millantato credito.
Le buone intenzioni del legislatore, però, non hanno ottenuto il risultato sperato.
La condotta del millantato credito è stata infatti inserita nell’art. 346bis c.p. creando una norma che comprende anche la condotta di chi sfrutta o vanta relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale. L’elemento oggettivo, quindi, è costituito sia dalla mediazione illecita, sia dalla condotta di chi vanta soltanto asserite mediazioni, parificando le due diverse condotte. Il reato non è stato quasi mai applicato, proprio perché anche la formulazione del 2019 non aveva risolto i problemi di applicazione della norma.
Entrambi gli interventi del 2012 e del 2019 non sono stati risolutivi.
Staremo a vedere quale sarà l’evoluzione applicativa della norma appena riformulata ed entrata in vigore lo scorso 25 agosto.
V.2. Nel suo davvero brillante intervento, l’Avv. La Scala ha trattato, con la verve che lo contraddistingue, il tema relativo ai reati di turbata libertà degli incanti, di cui all’art. 353 c.p. e dell’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615ter c.p..
Preliminarmente, l’Avv. La Scala ha tenuto a precisare che, contrariamente a quanto si legge nel titolo del suo intervento, non si tratta di reati nuovi, perché nessuna delle due norme è nuova, atteso che l’art. 353 è presente nel codice penale sin dalla sua entrata in vigore, nel 1930, e l’art. 615ter è stato introdotto nel 1993.
La vera novità è che, negli ultimi tre anni, questi sono i reati più contestati ai pubblici ufficiali. In assoluto l’accesso abusivo è quello più contestato ai pp.uu..
V.2.1. Con riferimento alla turbata libertà degli incanti, anche nota come turbativa d’asta, il relatore ha rilevato che si ricorre a questo reato, che tutela la libertà degli incanti, quando non si riesce a dimostrare la corruzione.
In estrema sintesi, la condotta consiste nel favorire qualcuno in una gara, ma non viene chiesto denaro o utilità. Vista la frequenza con la quale attualmente questo reato viene contestato, viene allora da chiedersi perché venga commesso. La risposta può essere varia: interessi politici; logiche di potere e perciò è più facile contestarlo.
La turbativa d’asta è un reato di pericolo, pertanto, per il suo perfezionarsi non occorre che si verifichi il danno materiale, ma è sufficiente mettere in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma che, nel caso di specie, è rappresentato dalla trasparenza, correttezza, economicità, efficienza della gara.
È un reato importante, lo Stato infatti interviene prima che il danno effettivo si verifichi. Si parla in dottrina di “difesa avanzata” da parte dello Stato, a difesa di beni ritenuti meritevoli di particolare tutela.
La turbativa d’asta rientra trai i reati dei privati contro la Pubblica Amministrazione, anche se quasi sempre viene commesso da un P.U…
È comunque un reato comune e non un reato proprio: la norma infatti si apre con “Chiunque”, anche se è difficile che un privato, da solo, possa portare a termine la turbativa. Occorre quasi sempre l’ausilio di un p.u..
In mancanza della prova della corruzione, ossia della promessa e dell’accettazione di denaro o altra utilità, visto che nella turbata libertà degli incanti non è richiesto tale elemento, è chiaro che risulta molto più facile e frequente la contestazione di questo reato.
È opportuno tenere presente che, poiché la pena base prevista dall’art. 353 c.p. è la reclusione fino a 5 anni, da ciò consegue che è possibile disporre le intercettazioni di conversazioni tra presenti. E, si comprende facilmente, per un reato di pericolo come quello in esame, questo tipo di indagine risulta fondamentale.
In definitiva, l’essersi intromesso nella gara già di per sé configura il reato perché, come detto, mette in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma e non è necessario attendere l’evento materiale della lesione del bene per il suo perfezionamento.
V.2.2. Passando al reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615ter c.p., l’Avv. La Scala ha ribadito che questo è, in assoluto, il reato più contestato ai pubblici ufficiali. Il reato di accesso abusivo è facile da comprendere nella formulazione del codice, quello che non si comprende, ha detto il relatore, è perché venga commesso così di frequente dai Vostri colleghi.
Quella per accertarlo, infatti, è l’indagine più facile al mondo: a fronte di un accesso a un sistema informatico o telematico, infatti, è semplicissimo individuare chi ha la password ed ha fatto l’accesso, ad esempio, allo SDI, ossia alla Banca Dati (Sistema di Indagine) in uso alle Forze dell’Ordine.
Le Sezioni Unite della Cassazione, intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale esistente intorno ai motivi – come ad esempio la mera curiosità – che potrebbero rendere lecito l’accesso abusivo, ossia quello effettuato in assenza di ragioni di ufficio, hanno stabilito che è sempre reato l’accesso che non sia per motivi di ufficio.
Quindi non c’è una difesa quando si è accusati di aver fatto accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico: bisogna solo dimostrare che l’acceso è stato fatto per motivi di ufficio.
Qualunque altro accesso è reato: è reato anche l’accesso allo SDI su se stesso o sul proprio marito o sulla propria moglie. Il bene tutelato è la segretezza del dato, che può essere consultato solo per fini investigativi.
Non occorre l’utilizzo del dato appreso perché il reato si configuri. Basta l’accesso fatto per sapere una certa cosa. Ebbene, non si può fare: è reato!
L’Avv. La Scala ha anche riportato il caso di un Carabiniere che, per mera curiosità, voleva sapere quanti ergastoli avesse riportato Totò Riina ed aveva perciò fatto accesso al sistema.
Ebbene, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione, non esiste che la curiosità giustifichi l’accesso informatico a tali dati e, quindi, il Carabiniere è stato tratto a giudizio con la contestazione del reato di accesso abusivo di cui all’art. 615 ter c.p..
Studio Biffa & Associati
Avv. Grazia Grieco