DIFFERENZA TRA RICICLAGGIO E/O RICETTAZIONE DI AUTO DI ILLECITA PROVENIENZA

E’ qualificabile come riciclaggio l’acquisto o la ricezione di una macchina da parte di persona sconosciuta alla quale viene cambiata la targa.

Lo ha stabilito la Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 28759/2016 rilevando che la manomissione posta in essere per rendere meno agevole il riconoscimento dell’auto prova la consapevolezza della sua provenienza illecita ed integra il reato previsto e punito dall’art. 648 bis c.p.[1]_

Il fatto.

Nella vicenda in esame, la Corte di Appello di Milano con sentenza emessa in data 5.12.2014, confermava la condanna pronunciata all’esito di giudizio abbreviato dal Gup del capoluogo milanese pervenuto al riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato per il reato di riciclaggio.

Secondo l’accusa l’imputato, al fine di trarne un profitto nella consapevolezza della provenienza illecita, acquistava o comunque riceveva da persona rimasta sconosciuta, un’autovettura in origine immatricolata con targa nazionale, provento di furto in danno di X (prontamente denunciato) compiendo sulla stessa operazioni finalizzate ad ostacolarne l’identificazione.

In particolare, l’imputato dotava la citata autovettura di targhe non proprie, sostituendo la targhetta di identificazione riportante dati di punzonature modificando la sigla identificativa originaria (yyyyyyy) in quella apocrifa (zzzzzzz) e dei documenti di circolazione.

Avverso la sentenza di condanna la difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione lamentando l’erroneità logica della decisione emessa dai giudici di secondo grado che ha inferito la responsabilità di costui dal fatto che la vettura riciclata fosse in suo possesso, senza effettuare ulteriori approfondimenti in merito alla sua condotta.

E ciò nonostante dalle risultanze processuali fosse emerso, a dire del ricorrente, soltanto che l’autovettura era stata oggetto materiale di una condotta di riciclaggio da parte di ignoto e che l’imputato ne era venuto in possesso; il che – sempre ad avviso del ricorrente – il reato doveva essere attribuito a terzi e non a lui.

Chiamata a pronunciarsi sul menzionato ricorso la Corte innanzitutto ha richiamato il principio di diritto elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riciclaggio, secondo cui integra l’elemento oggettivo del reato di riciclaggio qualsiasi operazione tesa ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.

I giudici di legittimità nel motivare l’inammissibilità del ricorso hanno poi ribadito la natura del delitto di riciclaggio che, come noto, è un reato a forma libera in virtù della previsione di chiusura – introdotta dalla riforma attuata dalla L. 328/1993 – che alle condotte di sostituzione o trasferimento, ha aggiunto qualsiasi altra operazione atta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.

Per inciso, con il termine “qualsiasi altra operazione” la norma si riferisce anche ad operazioni meramente materiali sui beni, purché siano tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Ebbene, la condotta del soggetto attivo, evidenzia la Suprema Corte, può incidere tanto sulla mera identità del bene, ovvero sulla sua “riconoscibilità”, quanto sulla “tracciabilità” del suo percorso.

In altri termini, affermano i giudici di legittimità, l’alterazione non è l’unica strada per confondere le acque: “per escludere il delitto di riciclaggio non è sufficiente che il bene resti astrattamente tracciabile se poi, proprio in forza di interventi di manomissione delle sue componenti, se ne altera l’identità in modo da non renderlo più riconoscibile. E, per converso, un bene può restare fisicamente identico e, ciò nondimeno, di difficile tracciabilità a cagione di plurimi trasferimenti dopo essere stato sottratto alla sfera di controllo del suo titolare (cfr., Sez. 2, n. 11186 del 09.02.2016, Dama)”.

La tracciabilità è difatti legata alle risultanze documentali e queste ultime all’identità del mezzo che è data non solo dai dati identificativi fisicamente impressi sul bene, come i numeri di telaio, il numero della targa o quello del motore, ma anche dal modello e dall’epoca di produzione.

Ne deriva che a prescindere dal cambio di targa o del numero del telaio il risultato di occultare la provenienza  delittuosa del veicolo può ottenersi anche smontando il veicolo e vendendo o riutilizzando i singoli pezzi.

Per le motivazioni sinteticamente esposte la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende.

Ciò posto, occorre evidenziare che sull’argomento si è pronunciata ancor più di recente la giurisprudenza di merito, che ha affrontato un caso simile a quello appena narrato nel modo che segue.

La Corte di Appello di Roma, Sezione 2, nella sentenza n. 75 del 25 gennaio 2017 ha affermato che si configura il reato di ricettazione, ai sensi dell’art. 648 c.p., e non quello di riciclaggio per chi viene fermato alla guida di un’auto rubata, con il telaio alterato e le targhe sostituite, se manca la dimostrazione di quel “quid pluris idoneo a indicare che la condotta, consistita nella alterazione o manipolazione del bene, sia riconducibile, quanto meno nella forma del concorso di persone, all’imputato”.

Nel caso di specie l’imputato veniva trovato alla guida di un’autovettura, la cui carta di circolazione riportava caratteristiche di costruzione diverse da quelle effettive del veicolo, il cui telaio risultava alterato e la targa sostituita.

Accertato che si trattava di veicolo provento di furto, l’automobilista veniva condannato per il reato di riciclaggio.

La difesa dell’imputato pertanto proponeva appello avverso la sentenza emessa dai giudici di primo grado ed il ricorso veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello.

I giudici della Corte, come preannunciato, hanno accolto parzialmente l’impugnazione sul rilievo che difettando la prova che l’imputato abbia manomesso il telaio o la targa, la condotta di costui debba essere ricondotta nell’alveo dell’art. 648 c.p. (ricettazione) e non in quello di cui all’art. 648 bis c.p. (ricilaggio).

Nella motivazione la Corte ha approfondito le ipotesi in cui si realizza il riciclaggio, ricordando che tale delitto ricorre allorquando vengono poste in essere operazioni per ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, compiendo attività che abbiano come risultato l’impossibilità di ricollegare il bene al proprietario che ne è stato spogliato; In particolare, la Corte ha affermato che è vero che il reato di riciclaggio punisce sia le attività che si esplicano sul bene trasformandolo o modificandolo parzialmente, sia quelle che, senza incidere sulla cosa ovvero senza alterarne i dati esteriori, sono comunque di ostacolo per la ricerca della sua provenienze delittuosa ma ai fini della configurabilità di tale delitto non è sufficiente che il soggetto abbia il possesso del bene di illecita provenienza, alterato in modo da ostacolarne l’identificazione della provenienza.

Nel caso concreto – sottolineano i giudici di secondo grado – manca la prova che sia stato il soggetto trovato alla guida ad aver alterato il telaio e ad aver sostituito la targa; il fatto costui fosse consapevole della provenienza delittuosa della vettura (“la chiave di accensione non consentiva di aprire gli sportelli, sulla serratura del conducente vi erano segni di effrazione e i documenti di circolazione si riferivano ad un altro modello”) non può far discendere in automatico la sua responsabilità per una diversa ed ulteriore condotta criminosa quale è quella di aver ostacolato l’identificazione del veicolo.

In conclusione, la Corte, in accoglimento del ricorso proposto dalla difesa dell’imputato, ha stabilito che la condotta di costui configura il reato di ricettazione, “sussistendone sia l’elemento oggettivo, che si sostanzia nel possesso della cosa proveniente da delitto, che l’elemento soggettivo, essendo evidente la consapevolezza della provenienza delittuosa”.

Tanto dovevo

 

[1]          Art. 648 bis c.p. (riciclaggio)

[I]. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro.

[II]. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

[III]. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

[IV]. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

 

 

Avv. Massimo Biffa

Roma, febbraio 2017