IL DIRITTO PENALE DEL CORONAVIRUS

In questi giorni difficili, in cui il Nostro Paese – ed il resto del Mondo – sono impegnati nella durissima lotta per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, stiamo assistendo alla frequente emanazione, da parte del Governo, di provvedimenti con misure urgenti di contenimento e contrasto dei rischi sanitari e del diffondersi del contagio.

Tutti i provvedimenti, naturalmente, accanto alla elencazione delle regole anti-contagio da adottare, contengono la previsione delle sanzioni da applicare in caso di violazione delle stesse.
Convinto che, tra le finalità istituzionali della DIPPOL e, quindi, tra le ragioni stesse dell’esistenza della nostra Associazione, vi sia quella di contribuire alla formazione ed all’aggiornamento costante di quanti, agenti ed ufficiali, ne fanno parte, ritengo importante ed utile fornire indicazioni operative con riguardo alla corretta individuazione ed interpretazione delle norme penali presenti e/o richiamate nei provvedimenti dell’emergenza da coronavirus.
Si può dire infatti che la gestione e regolamentazione della particolarissima, eccezionale contingenza che tutti stiamo vivendo abbia dato vita a quello che, come nel titolo di questo contributo, può essere definito “Il diritto penale del coronavirus”, intendendo con ciò fare riferimento alle figure di reato che possono essere realizzate in caso di violazione delle misure anti-contagio contenute nei Decreti ed alle sanzioni che ne conseguono.

A tal fine, tralasciando i vari provvedimenti che si sono sinora avvicendati, ormai superati, è sicuramente opportuno soffermarsi – richiamando semmai, ove necessario, le precedenti statuizioni – nell’analisi del recentissimo Decreto-Legge 25 marzo 2020, n. 19, contenente “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 marzo 2020, n. 79, in vigore dal 26 marzo 2020, il cui testo viene allegato per Vostra utilità (Cfr. Allegato N. 1).

I. Il nuovo Decreto-Legge elenca 29 disposizioni restrittive, accorpando quelle dettate con i diversi Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri: dallo stop agli spostamenti ed alla limitazione della circolazione delle persone, alla possibile chiusura di strade e parchi, cinema e ristoranti.
Con riferimento all’argomento di nostro interesse, il decreto del 25 marzo, all’art. 4, “Sanzioni e controlli”, apporta una modifica sostanziale alla precedente disciplina rivedendo l’approccio sanzionatorio nei confronti delle eventuali violazioni delle misure di contenimento elencate al comma 2 dell’art. 1 ed all’art. 3 ed operando una vera e propria depenalizzazione attraverso la trasformazione in illeciti amministrativi di comportamenti che, prima, erano sanzionati penalmente, in quanto configuranti la contravvenzione di “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”, di cui all’art. 650 c.p..
Ma andiamo con ordine, e soffermiamoci a chiarire.
Prima dell’entrata in vigore del Decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, coloro che trasgredivano la misura della limitazione allo spostamento delle persone fisiche all’interno della c.d. “zona rossa”, che comprendeva l’intero territorio nazionale, e venivano quindi fermati per strada senza poter addurre un valido motivo che giustificasse lo spostamento, erano  responsabili,  ai sensi dell’art. 650 c.p., del reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro[1]
Dal 26 marzo 2020, data di entata in vigore del Decreto-legge n. 19, invece,  secondo quanto previsto all’art. 4, comma 1, dello stesso: “Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’art. 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 2, comma 1, ovvero dell’art. 3, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’art. 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva  di poteri per ragioni di sanità, di cui all’art. 3, comma 3. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo  di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo”.
In definitiva, quindi, dal 26 marzo u.s., a chi viola l’obbligo di stare a casa con spostamenti senza motivo verrà applicata la multa da 400 fino ad un massimo di 3.000 euro e, se lo spostamento ingiustificato è avvenuto con un veicolo, la multa verrà aumentata fino ad un terzo.
Quindi, da un lato, depenalizzazione: si passa dalla contravvenzione ex art. 650 c.p. all’illecito amministrativo, con conseguente esclusione della possibilità di essere rinviati a giudizio ma, dall’altro lato, stretta durissima sul piano economico, visto che si passa dall’ammenda sinora comminata di 206 euro alla multa che, oggi, come visto, oscilla tra i 400 ed i 3.000 euro.
A questo punto, deve essere sottolineato che, con norma intertemporale, l’art. 4 del Decreto-legge n. 19, al comma 8, stabilisce che “Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”.
In buona sostanza, quindi, il nuovo decreto, oltre ad escludere, per il futuro, la rilevanza penale delle condotte inosservanti delle misure anti-contagio, fa cadere, nei confronti delle oltre 100 mila persone denunciate nei giorni scorsi dalle Forze dell’ordine perchè fermate in strada in violazione delle regole imposte, le accuse penali che si fondavano sulla violazione dell’art. 650 c.p..
Neanche costoro, quindi, verranno sottoposti a giudizio penale e la nuova sanzione amministrativa della multa verrà loro applicata retroattivamente, in misura ridotta, pari alla metà del minimo della stessa, per un importo, quindi, di 200 euro.

I.1. Come a tutti noto, per consentire di circolare senza incorrere nella violazione delle regole anti-contagio, il Ministero dell’Interno ha elaborato un modulo di autocertificazione. Gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da assoluta urgenza, da situazioni di necessità o motivi di salute, devono essere attestati attraverso il Modulo di autocertificazione.
Il Viminale ha modificato ancora una volta tale Modulo, alla luce del Decreto-Legge in Gazzetta Ufficiale il 25 marzo ed ha aggiornato con la nuova normativa l’ultimo schema “fac simile” dell’autocertificazione. Attualmente, infatti, la prima dichiarazione da sottoscrivere, dopo l’indicazione delle proprie generalità e dei propri dati anagrafici,  è quella di non essere sottoposti alla misura della quarantena, né di essere risultati positivi al coronavirus.
Ebbene, con riferimento alla compilazione di tale modulo, deve essere evidenziato che il reato di Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, di cui all’art. 495 c.p., espressamente richiamato sul “fac simile” del modulo di autocertificazione, si configura esclusivamente nel caso in cui le false dichiarazioni rese attengano alla propria identità. Il delitto viene integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi ad oggetto l’identità, lo stato o altre qualità della persona.
L’art. 495, comma 1 c.p., ai sensi del quale “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni” non è quindi la norma da applicare quando si mente sui motivi della propria uscita.
Allorchè, invece, nell’autocertificazione attestante che lo spostamento avviene per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, tra cui fare la spesa o acquisto di farmaci, motivi di salute, o, infine, rientro nel proprio domicilio, abitazione o residenza, la dichiarazione falsa attenga, appunto, alla esistenza della situazione che giustificherebbe lo spostamento, potrebbe risultare integrato il reato di Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, di cui all’art. 483 c.p..
Ritengo tuttavia d’obbligo l’uso del condizionale: la enunciazione di motivi non veri, nella dichiarazione esibita all’Autorità di Polizia si può tradurre nella violazione dell’art. 483 c.p., che è punita con la pena della reclusione fino a 2 anni, solo ove l’attestazione stessa confluisca in un atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti e dei motivi in questione o debba essere trasfusa dal pubblico ufficiale che la riceve in un atto pubblico, con stesse finalità, dallo stesso redatto o in via di redazione.
Ebbene, è proprio sulla individuazione, nel caso di specie, dell’atto pubblico che debba accogliere l’autodichiarazione del cittadino, che non si possono non ravvisare oggettive difficoltà e perplessità.
Dal punto di vista operativo, pertanto, nel caso in cui il pubblico ufficiale ravvisi la falsità dei motivi addotti a giustificazione dello spostamento, egli, senza dover necessariamente far ricorso alla applicazione di sanzioni penali, potrà sicuramente ritenere configurato il mancato rispetto delle misure di contenimento ed applicare senza esitazione la sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro.

I.2. Il nuovo Decreto-Legge n. 19 continua invece a muoversi sul terreno della rilevanza penale delle condotte poste in essere in violazione delle misure urgenti per evitare la diffusione del coronavirus soltanto nei confronti di chi viola l’obbligo assoluto di restare in casa perchè risultato positivo al tampone del Covid-19. Il comma 6 dell’art. 4 in esame, infatti, dispone che: “Salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all’art. 1, comma 2, lettera e), è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie, come modificato dal comma 7” ed il successivo comma 7 stabilisce che: “Al comma 1 dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie, le parole <<con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a lire 800.000>> sono sostituite dalle seguenti: <<con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000>>”.
La norma di cui all’art. 260 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, che prevede una fattispecie contravvenzionale, recita testualmente:
“Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a lire 800.000. Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un’arte sanitaria la pena è aumentata.”
Dal 26 marzo 2020, quindi, l’articolo 260 in esame è la norma che sanziona in modo più rigoroso rispetto all’articolo 650 del codice penale la condotta di chi è in quarantena perchè positivo al coronavirus e, violando il divieto assoluto di allontanarsi  dalla propria abitazione, esce di casa.
La sanzione penale comminata per la contravvenzione di cui all’art. 260 T.U. Leggi sanitarie, infatti, non prevede alternativamente  l’arresto o l’ammenda ma, cumulativamente, entrambi.
Per questo motivo, all’indagato/imputato per questo tipo di reato contravvenzionale, non sarà possibile chiedere ed ottenere l’oblazione, con conseguente estinzione del reato, come viceversa ammesso nel caso in cui il reato contestato fosse quello di cui all’articolo 650 del codice penale.
Con scelta sicuramente condivisibile, prevedendo la violazione dell’art. 260 T.U. Leggi Sanitarie, il Decreto-Legge n. 19 ha fatto anche chiarezza sul contrasto di interpretazioni che si era creato tra le varie Procure d’Italia in ordine all’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 650 c.p. o della norma del T. U..
La contestazione dell’art. 260 era infatti l’orientamento più seguito dalla Procura della Repubblica di Milano nel caso di inottemperanza da parte dei cittadini al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
In definitiva, nella situazione attuale, si avrà illecito amministrativo con sanzione pecuniaria da 400 a 3.000 euro in caso di violazione delle misure di contenimento; si avrà invece illecito penale punito ai sensi dell’art. 260 T.U. Leggi sanitarie per colui che, in quarantena perchè positivo al coronavirus, violi il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione.

II. Il “diritto penale del coronavirus”, però, non può non includere la previsione delle norme che sanzionano i comportamenti più gravi che porebbero essere tenuti in violazione del Decreto-Legge.
Lo stesso comma 6 dell’art. 4, come visto, fa espresso riferimento all’art. 452 del c.p.Delitti colposi contro la salute pubblica” laddove, con clausola risolutiva espresssa, stabilisce che, nel caso pevisto si applicherà l’art. 260 T.U. Leggi sanitarie, “salvo che il fatto costituisca violazione dll’art. 452 del c.p..”
In questa ottica, il cittadino potrebbe appunto incorrere nella commissione del delitto di colposa diffusione di epidemia.
In proposito, però, non si può non formulare l’invito a riflettere sulle reali  possibilità applicative della norma, attesa la notevole difficoltà rappresentata dalla necessità di dover comunque accertare l’esistenza del nesso di causalità tra la condotta colposa tenuta dal soggetto e l’epidemia cagionata.

II.1. Ancora, in ipotesi limite, nel caso di contagio volontario di altre persone, si potrebbe addirittura configurare il delitto doloso di “Epidemia” di cui all’art. 438 c.p., punito con l’ergastolo. Naturalmente, occorrerà provare che il soggetto ha agito con dolo, ossia con la coscienza e volontà di diffondere il virus.

II.2. Da ultimo, non si può escludere dal novero dei reati ricompresi nel diritto penale del coronavirus l’omicidio volontario di cui all’art. 575 c.p., che si potrebbe configurare nel caso in cui un soggetto positivo volontariamente infetti qualcun altro, se dalla sua condotta derivi la morte dell’altra persona.
Pure configurabile, in questo caso, il reato di lesioni personali, di cui all’art. 582 c.p., ove insorga la malattia del soggetto o dei soggetti attinti dal virus.

 

Avv. Massimo Biffa

Roma, 27 marzo 2020

 

[1]          A voler essere precisi, occorre rilevare che, come si evince agevolmente dall’art 3, comma 4 del Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6, “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emenrgenza epidemiologica da COVID-19”, nel quale si legge: “ Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’art. 650 del codice penale”, secondo la tecnica di redazione della norma adottata dal Legislatore dell’emeregenza da  coronavirus, l’art. 650 c.p. viene richiamato soltanto ai fini della individuazione della pena da applicare in caso di violazione del precetto, compiutamente definito con la descrizione delle varie misure di contenimento.