
La contraffazione della targa di un proprio veicolo.
Mi è stato domandato se la condotta di colui che utilizzi una targa contraffatta, dallo stesso modificata, sul proprio motociclo o sulla propria autovettura integri reato o solo un illecito amministrativo.
Occorre premettere come la targa automobilistica abbia natura di certificazione amministrativa (e non di atto pubblico), in quanto documento meramente dichiarativo la cui funzione è quella di attestare l’avvenuta immatricolazione presso il competente ufficio pubblico (Cfr. Cass. Pen. Sez. V, 07.04.2015, n. 25766).
Essa dunque altro non è se non un documento che rappresenta i dati identificativi di ogni veicolo.
Di talché la falsità in questione potrebbe in astratto integrare le ipotesi di cui all’art. 477 c.p. (falsità materiale in certificazione amministrativa commessa da un soggetto pubblico, a fronte dell’alterazione delle caratteristiche della targa) e le ipotesi di cui all’art. 482 c.p. (falsità materiale in certificazione amministrativa commessa da privato).
In aiuto, come sempre, fortunatamente, ci viene incontro la Suprema Corte di Cassazione che numerose volte si è pronunciata sull’argomento.
Da ultimo, con la sentenza n. 4301 del 03.02.2021, i Giudici della V Sezione della Suprema Corte, fornendo continuità applicativa alla giurisprudenza formatasi relativamente a detta questione hanno infatti affermato quanto segue: la condotta di colui che modifica ed usa la targa sulla propria autovettura integra il reato di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative.
Ciò in quanto l’ipotesi prevista dall’art. 100 C.d.S. al comma 12, che taluno vorrebbe invocare, si distingue dal comma 14 del citato articolo.
Difatti, stando al tenore letterale della disposizione di cui al comma 12 dell’art. 100 C.d.S., secondo il quale “chiunque circola con un veicolo munito di targa non propria o contraffatta e’ punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 2.046 a € 8.186”, viene sanzionata in via amministrativa la condotta di colui che circoli con veicolo munito di targa non propria o contraffatta, quando all’autore dell’illecito non debba (o non possa) essere contestata la materiale contraffazione della targa stessa.
Invece la disposizione di cui al comma 14 del menzionato art. 100 C.d.S., a mente del quale “chiunque falsifica, manomette o altera targhe automobilistiche ovvero usa targhe manomesse, falsificate o alterate e’ punito ai sensi del codice penale “, sanziona (penalmente) la contraffazione della targa ovvero l’aver fatto uso di targhe manomesse falsificate o alterate, dovendo tale condotta essere ricondotta sotto l’alveo di applicazione degli artt. 477 e 482 c.p. (Cfr. Cass. Pen. Sez. V, 20.09.2016, n. 7614/2017).
Nel caso affrontato dai Giudici di Piazza Cavour, il ricorrente aveva modificato il numero della targa dell’autovettura mediante l’apposizione di strisce di nastro adesivo, al fine di evitare che il numero originale potesse essere rilevato dagli apparecchi automatici per il controllo di velocità, realizzando così una durevole, anche se non definitiva, falsità documentale.
Potremmo anche concludere qui la risposta alla domanda, ma forse può essere utile fare un piccolo cenno ad un caso del tutto peculiare di “modifica della targa di un veicolo”, che non di rado si riscontra sia nelle Aule di Tribunale che nelle strade delle nostre città e che in passato abbiamo già affrontato.
Difatti, quando la sostituzione della targa ovvero la modifica della stessa venga effettuata su di un veicolo precedentemente oggetto di furto, il reato ipotizzabile non sarebbe più quello di cui all’art. 100, co. 14, C.d.S., bensì il gravissimo delitto di riciclaggio di cui all’art. 648-bis c.p.
Tale norma punisce con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000 la condotta di colui che, non avendo concorso nella commissione del cd. reato presupposto, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
In breve, la norma sanziona il comportamento di chi, ad esempio, senza avere rubato un autoveicolo, si adoperi al fine di impedire che quel veicolo venga agevolmente individuato e riconosciuto dalle Autorità come proveniente dal suddetto furto.
Si pensi ad esempio al caso in cui al veicolo vengano modificati i numeri di telaio, ovvero i numeri di motore, ovvero, appunto, la targa.
Proprio con riferimento alla targa (ma il discorso vale anche per le altre due ipotesi), la Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione è da anni ferma su un arresto giurisprudenziale ormai consolidatosi nel tempo.
È stato infatti più volte affermato il principio di diritto secondo il quale anche la mera sostituzione della targa di un veicolo proveniente da furto configura il delitto di riciclaggio, in quanto si tratta di condotta univocamente diretta ad ostacolare l’identificazione delittuosa dell’autovettura (da ultimo, Cass. Pen. Sez. II, n. 8788 del 28/02/2019; Cass. Pen. Sez. II, n. 56391 del 23/11/2017; Cass. Pen. Sez. II, n. 30842 del 03/04/2013; Cass. Pen. Sez. II, n. 44305 del 25/10/2005).
Il punto di partenza del ragionamento dei Supremi Giudici è che, nel caso di veicolo proveniente da delitto (nel nostro esempio, il furto), la targa di un’autovettura costituisce il più significativo, immediato ed utile dato di collegamento della res con il proprietario che ne è stato spogliato (così già Cass. Pen. Sez. II, n. 9026 del 11/06/1997).
Per altro, per la configurabilità del delitto di cui all’art. 648 bis c.p. è sufficiente che il bene oggetto dell’operazione di riciclaggio sia trasformato, ancorché in misura limitata, sì da ostacolare la pronta identificazione della sua origine (lecita od illecita).
Sicché, sostituire la targa ad un veicolo rubato costituisce condotta idonea ad ostacolare la individuazione della provenienza delittuosa e, quindi, integra appieno un’ipotesi di riciclaggio, atteso che detta condotta è intrinsecamente idonea a precludere o comunque a rendere più difficoltoso l’accertamento della provenienza del veicolo in questione dal reato presupposto (ossia, nel nostro esempio, dal furto).
Avv. Massimo Biffa
Roma, 28 giugno 2021