LA NUOVA LEGGE SULLA SICUREZZA URBANA. UNA PRIMA LETTURA

Si legge ormai da tempo su tutti i quotidiani la notizia relativa alla conversione in legge del decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14 recante “Misure urgenti sulla sicurezza delle città e per la vivibilità dei territori e interventi volti al mantenimento del decoro urbano”.

Come noto, il principale obiettivo che si è prefissato il decreto legge, voluto dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, è la promozione della sicurezza urbana, che viene definita dall’art. 4 del citato decreto come “il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, che deve essere perseguito anche attraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree e dei siti più degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità ed esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in ispecie di tipo predatorio, la promozione del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile (..)”.

Nel corso dell’esame alla Camera dei Deputati, con riferimento agli interventi di riqualificazione, sono stati specificati i settori di intervento, i quali sono stati individuati nello scambio informativo tra polizia locale e forze dell’ordine presenti sul territorio, nella interconnessione a livello territoriale della sale operative della polizia locale con quelle delle forze di polizia, nella regolamentazione per l’uso comune di sistemi di sicurezza tecnologica per il controllo delle aree e delle attività a rischio e nell’aggiornamento professionale integrato per operatori di polizia locale e forze di polizia.

Quello della sicurezza urbana, dunque, è un bene in cui  – come sottolineato nella relazione al disegno di legge n. 4310 – convergono un’idea di “sicurezza primaria”, che comprende la prevenzione e la repressione di reati, ed un’idea di “sicurezza secondaria” che, invece, mira a prevenire situazioni di degrado e a promuovere fattori di coesione sociale.

In altre parole, il decreto legge mira al perseguimento del benessere delle comunità territoriali in una società – come quella di oggi – multietnica, che richiede, da un lato, l’attuazione di interventi di sostegno per i nuovi “consociati” e, dall’altro, l’adozione di misure volte a “rassicurare” la comunità civile, finalizzate a rafforzare la percezione che le pubbliche istituzioni concorrono, unitariamente, alla gestione delle conseguenti problematiche.

Come si evince dalla lettura dell’articolo 3 del decreto in parola, i soggetti chiamati a perseguire il cennato obiettivo, sono lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali, nonché altri soggetti istituzionali (tra questi Prefetto, Questore e, sotto alcuni profili, la stessa magistratura), i quali, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze e responsabilità, hanno il compito di  promuovere ed attuare un sistema unitario, appunto integrato (da qui il concetto di sicurezza integrata) per la cui attuazione il decreto legge ha individuato diversi strumenti.

Tra questi vi sono: accordi per la promozione della sicurezza integrata, sia a livello nazionale che a livello locale, patti per la sicurezza urbana sottoscritti dal Prefetto e dal Sindaco, ed il comitato metropolitano, copresieduto dal prefetto e dal sindaco metropolitano, cui partecipano i sindaci dei comuni interessati.

Ebbene, a prescindere dai “luoghi” del coordinamento sopra elencati, è agevole desumere come i soggetti chiamati a promuovere la sicurezza urbana sono essenzialmente tre: il Questore, il Sindaco ed il Prefetto.

Procediamo con ordine.

Con riguardo al Sindaco giova evidenziare come il decreto legge, convertito nella legge n. 93 del 21 aprile 2017, abbia rimodulato all’art. 8 i poteri lui riconosciuti in tema di emanazione di ordinanze.  In particolare, a costui è riconosciuta la facoltà di emanare ordinanze extra ordinem “in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orario di vendita (…) e di somministrazione di bevande alcoliche (..)”.

Sempre l’art. 8, attribuisce al Sindaco il potere di emanare anche ordinanze “ordinarie” per assicurare “la tranquillità ed il riposo dei residenti in determinate aree della città”.

Per tali ordinanze, però, sono previsti un limite temporale ristretto di efficacia che non può essere superiore a 60 giorni, una finalità circoscritta (tutela della tranquillità e del riposo dei residenti in determinate aree (..) anche in relazione allo svolgimento di specifici eventi) ed un contenuto delimitato (limitazione in materia di orari di vendita ecc. di bevande alcoliche).

Con riguardo, invece, alle ordinanze urgenti e contigibili del Sindaco, queste – stabilisce il decreto (art. 8) -possono essere emanate allorquando sia necessario prevenire e contrastare situazioni che  favoriscono  l’insorgere di  fenomeni  criminosi  o  di  illegalità,  quali  lo  spaccio   di stupefacenti, lo sfruttamento  della  prostituzione,  l’accattonaggio con impiego di minori  e  disabili,  ovvero riguardano  fenomeni  di abusivismo, quale l’illecita occupazione  di  spazi  pubblici,  o  di violenza, anche legati all’abuso di  alcool (intervenendo, tra l’altro, in materia di orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche) o  all’uso  di  sostanze stupefacenti.

L’art. 9 del decreto prevede, inoltre, che il Sindaco gestisca la complessa disciplina posta a tutela del decoro di particolari luoghi, ovverosia delle “aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano e delle relative pertinenze” con riguardo a condotte “che limitano la libera accessibilità e fruizione delle predette infrastrutture, in violazione dei divieti di stazionamento e di occupazione di spazi ivi previsti”, quant’anche tenute da persone ubriache, da chi compie atti contrari alla pubblica decenza, esercita il commercio abusivo o l’attività di parcheggiatore o ancora di guardiamacchine abusivo.

Più precisamente al Primo Cittadino spetta il compito di irrogare la sanzione, da 100 a 300 euro, ed emanare l’ordine di allontanamento dalle aree predette in cui è stato commesso il fatto, comprese le aree urbane dove si trovano “scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree monumentali e archeologiche, luoghi di cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici ovvero adibite a verde pubblico”.

Con riferimento a tale ordine di allontanamento occorre evidenziare, da un lato, che lo stesso deve essere rivolto per iscritto e che perde efficacia trascorse 48 ore dall’accertamento del fatto e, dall’altro lato, che la sua violazione è assoggettata a sanzione amministrativa pecuniaria.

Nelle ipotesi in cui tali condotte di trasgressione ai divieti di stazionamento e occupazione vengano reiterate interviene il Questore, il secondo soggetto chiamato a promuovere la sicurezza urbana.

Quest’ultimo, “qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza”, può disporre il divieto di accesso per un periodo non superiore a sei mesi.

Per l’ipotesi più grave, ovverosia di trasgressione al suddetto divieto da parte di soggetto condannato con sentenza definitiva, o confermata in grado di appello nel corso di cinque anni, per reati contro la persona o il patrimonio  – sanzionata con divieto di accesso da 6 mesi a 2 anni – è previsto il c.d. Daspo Urbano (come quello che si applica nelle manifestazioni sportive), ovverosia l’ allontanamento fino a 12 mesi.

Il Daspo Urbano è soggetto tra l’altro alla convalida dell’A.G., con ordinanza del G.I.P. su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale, ricorribile per Cassazione.

Stessa misura, ma per un periodo da 1 a 5 anni, per chi spaccia droga nelle discoteche e locali di intrattenimento e sia stato condannato con sentenza definitiva o in grado di appello.

Nei confronti di tali soggetti il Questore può adottare anche misure più incisive sulla libertà di movimento, come obbligo di firma, divieto di allontanamento dal Comune, obbligo di rientrare nella propria abitazione entro una certa ora, etc., per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 40.000 euro e la sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno.

Tra le novità apportate dal cennato decreto, e concernenti i poteri attribuiti al Questore, è previsto, inoltre, che in materia di pubblici esercizi, in caso di reiterata inosservanza delle ordinanze contingibili emanate dal Sindaco circa gli orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche, costui possa disporre la sospensione dell’attività per un massimo di quindici giorni; quanto alla sanzione amministrativa pecuniaria irrogata in caso di vendita di alcolici ai minori di diciotto anni, questa è estesa anche alle ipotesi di somministrazione.

In tal caso la sospensione dell’attività può essere disposta per un periodo compreso tra quindici giorni e tre mesi.

Altra novità introdotta dal più volte menzionato decreto legge, riguarda i poteri del Prefetto in materia di occupazioni arbitrarie di immobili.

L’art. 11 del “decreto Minniti” prevede che costui, sentito il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, impartisca disposizioni per assicurare il concorso della Forza Pubblica all’esecuzione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria concernenti occupazioni arbitrarie di immobili.

All’uopo è previsto che l’annullamento in sede di giurisdizione amministrativa dell’atto con il quale sono state emanate le citate disposizioni può dar luogo, fatta eccezione per i casi di dolo o colpa grave, soltanto al risarcimento in forma specifica.

In siffatti casi, allorquando vi siano persone minori o meritevoli di tutela, al Sindaco è riconosciuto il potere di dare disposizioni in deroga a quanto previsto dai commi 1 e 1 bis dell’art. 5 del d.l. 47/2014, relativi al divieto di allaccio utenze e di partecipazione all’assegnazione di alloggi per gli occupanti abusivi di immobili o alloggi, a tutela delle condizioni igienico-sanitarie.

Oltre che di sicurezza integrata, il decreto si occupa anche di sicurezza pubblica, apportando modifiche alla disciplina sulle misure di prevenzione personali.

Difatti, apportando alcune modifiche al decreto legislativo n. 159/2011 (cd. Codice Antimafia) sono stati inseriti tra i destinatari di siffatte misure anche gli autori di reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio o del divieto di frequentazione di determinati luoghi.

All’uopo il decreto stabilisce che “ai fini della tutela della sicurezza pubblica, gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale possano essere disposti, con il consenso dell’interessato e accertata la disponibilità dei relativi dispositivi, anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici”.

Il decreto Minniti, inoltre, ha apportato alcune modifiche riguardo alle disposizioni che afferiscono esplicitamente la materia penale.

Difatti, all’art. 10, comma 5, del decreto è previsto che “in sede di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nei luoghi o nelle aree interne delle infrastrutture di trasporto, aree urbane su cui insistono luoghi di pregio artistico o culturale, la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’imposizione del divieto di accedere a luoghi o aree specificamente individuati”.

Fermo restando che la legge nulla dice in ordine alla durata di tale divieto, è agevole desumere che lo stesso abbia una durata non superiore a quello della sospensione e, poiché trattasi di reati contro la persona o il patrimonio, e quindi di delitti, lo stesso non dovrebbe superare i cinque anni.

Siffatto divieto è previsto anche nei confronti di soggetti condannati per reati in materia di droga, nel caso in cui siano commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di locali pubblici, aperti al pubblico o in pubblici esercizi.

Sempre con riferimento alla sospensione condizionale della pena, per i reati di deturpamento e imbrattamento di cose altrui questa può essere subordinata ad obblighi, quali obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi, ovvero, qualora non sia possibile, obbligo di sostenere le relative spese o a rimborsare quelle sostenute, ovvero ancora – sempre che il condannato non si opponga – prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato  comunque non superiore alla durata della sospensione, e sempre secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna.

Obbligo, quest’ultimo, che costituisce una specificazione rispetto all’art. 165 co 1 , c.p.

A tal proposito, occorre precisare che il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria di cui all’art. 650 c.p. ricorre soltanto in caso di violazione delle sole ordinanze contingibili e urgenti che non siano già autonomamente sanzionate.

 

Avv. Massimo Biffa

Roma, 1 giugno 2017