La rilevanza penale delle regalie al Pubblico Ufficiale.

Carissimi, sebbene le Festività siano ormai trascorse, una recente sentenza pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione mi spinge a condividere con Voi una riflessione che richiama situazioni che frequentemente si verificano proprio in occasione di dette ricorrenze.

 

Faccio riferimento alla sentenza n. 47216 del 17/11/2021, depositata il 28/12/2021, con la quale la VI Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, affrontando un caso in cui all’imputato era contestato il reato di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.), si è soffermata ancora una volta sulla delicata tematica della corruzione, analizzandone i presupposti e le condizioni che di volta in volta consentono di inquadrare nella fattispecie la condotta di chi effettua donativi verso il pubblico ufficiale e, ovviamente, del predetto che li accetta.

 

Nel caso di specie, Tizio, nelle prossimità delle festività natalizie, faceva recapitare presso la Stazione dei Carabinieri al Luogotenente Caio ed al Maresciallo Sempronio, due cestini natalizi.

Analogo dono veniva fatto recapitare al Maresciallo Mevio, presso la personale residenza.

Trattavasi di omaggi di modico valore (inferiore a 100,00 euro), che venivano rifiutati dai destinatari giacché impegnati in indagini a carico dello stesso Tizio.

 

Prima di approfondire quanto affermato dal Supremo Collegio nella richiamata sentenza ed addentrarci nelle tematiche di diritto ad essa sottese, occorre ricordare quanto stabilito, a proposito di doni ricevuti dagli appartenenti alla pubblica amministrazione, dall’art. 4 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici (Decreto del Presidente della Repubblica 62/2013).

Detto articolo, come noto, vieta di accettare:

per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia”, definendo “regali di modico valore”, e quindi regali consentiti, quelli il cui valore sia inferiore a 150,00€.

Più precisamente l’art. 4, rubricato “Regali compensi e altre utilità”, testualmente così recita:

“1. Al dipendente è fatto assoluto divieto di chiedere o sollecitare, in qualunque modo, regali o altra utilità, anche di modico valore, per sé o per altri.

  1. Al dipendente è fatto, altresì, divieto di accettare regali o altra utilità, sotto qualunque forma, da parte di soggetti che abbiano tratto o comunque possano trarre benefici da decisioni o attività dell’Amministrazione, ad eccezione di quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali.
  2. Il dipendente non accetta, per sé o per altri, da un proprio subordinato, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore. Il dipendente non offre, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità a un proprio sovraordinato, salvo quelli d’uso di modico valore.
  3. Il modico valore resta fissato in 150 euro, anche se in forma cumulata annuale.
  4. I doni ricevuti al di fuori dei casi consentiti, se trattasi di oggetti materiali, sono immediatamente messi a disposizione del Dipartimento competente in materia di risorse strumentali a cura del dipendente, al fine della loro tempestiva restituzione o devoluzione a fini istituzionali ovvero ad associazioni di volontariato o beneficenza.
  5. E’ in ogni caso vietata l’accettazione di regali sotto forma di somme di denaro, per qualunque importo.
  6. Al fine di preservare il prestigio e l’imparzialità dell’Amministrazione, ciascun dirigente vigila sulla corretta applicazione del presente articolo da parte del personale assegnato.

 

Stesso divieto è espressamente previsto anche dalla circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 25213 del 9 dicembre 2014 che, per l’appunto, nel richiamare quanto previsto dal citato art. 4 del DPR 62/2013, vieta agli appartenenti alla pubblica amministrazione di ricevere regali di valore superiore a 150,00 euro.

 

Ebbene.

Fermo restando detto divieto, in quali rischi incorre il dipendente della pubblica amministrazione che accetti regali dal privato?

Il mancato rispetto delle citate disposizioni costituisce per il pubblico ufficiale una “semplice” violazione dei doveri d’ufficio oppure può integrare per tutti i soggetti coinvolti gli estremi della corruzione?

 

È bene precisare che tale “semplice” violazione comporta anzitutto sanzioni disciplinari che possono concretizzarsi, a seconda dei casi ed al verificarsi dei presupposti, anche nel licenziamento del pubblico dipendente.

 

Venendo alle conseguenze penali, in astratto il dipendente pubblico potrebbe essere chiamato a rispondere del delitto di corruzione.

 

La corruzione, come più volte ribadito, sia pure in modo piuttosto semplicistico e non esaustivo, si distingue in:

  • propria (art. 319 c.p.), quando il pubblico ufficiale accetta la prestazione o la promessa di denaro od altra utilità per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio;
  • impropria (art. 318 c.p.), quando il pubblico ufficiale accetta la prestazione o la promessa di denaro od altra utilità per il compimento di un atto del suo ufficio.

 

Sul punto, ed in particolare sulla qualificazione giuridica della condotta posta in essere da chi effettua regali ad un pubblico ufficiale, affinché costui compia un atto del proprio ufficio ovvero contrario ai doveri dell’ufficio, è intervenuta, da ultimo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha pronunciato la sentenza n. 47216/2021 sopra anticipata.

 

Con detta decisione la Suprema Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, lo ha “assolto” con la formula “perché il fatto non sussiste”, evidenziando come “la condotta (…) non potesse incidere sulle funzioni esercitate o da esercitarsi a cura dei pubblici ufficiali (…)”.

A tale conclusione i Giudici del Supremo Collegio sono giunti richiamando una pronuncia precedente (cfr. Cass. Pen. VI Sez. n. 7007 del 08/01/2021) che riguardava il delitto di cui all’art. 318 c.p., secondo cui “benché la proporzionalità tra le prestazioni non sia un elemento costitutivo del reato di corruzione impropria, l’irrisorietà dell’utilità conseguita rispetto alla rilevanza dell’atto amministrativo compiuto o da compiersi, rileva sul piano probatorio dell’esistenza del nesso sinallagmatico con l’esercizio della funzione, il cui mercimonio integra il disvalore del fatto punito dall’art. 318 c.p.”.

 

In altri termini, ad avviso dei Giudici della Suprema Corte, posto che la corruzione costituisce un accordo sinallagmatico tra Pubblico Ufficiale e privato, è assolutamente necessario verificare se, ed in che limiti, ciò importi la sussistenza di una proporzione tra le prestazioni contrapposte.

 

Affrontando sempre la spinosa tematica della corruzione, poco tempo dopo la Suprema Corte ha chiarito nuovamente come l’omaggio ricevuto da un ispettore del lavoro (nella specie si trattava di due latte di olio ed una busta di castagne), essendo di modico valore, non fosse in grado di sviare il regolare svolgimento di una pubblica funzione (n. 47237/21).

 

Da tali pronunce emerge chiaramente che, affinché possa parlarsi di corruzione, sia necessario che la prestazione del corruttore (sia essa solo promessa ovvero effettivamente corrisposta), sia proporzionata rispetto all’atto compiuto (o da compiere) dal Pubblico Ufficiale.

Qualora così non fosse, sul piano squisitamente giuridico, non vi sarebbe nesso causale tra la dazione di utilità (o la promessa di dare) e ciò che dovrà fare (o che ha fatto) il pubblico ufficiale.

Conseguentemente, stando ai citati orientamenti, non è punibile la condotta corruttiva che si concretizzi in donativi di cortesia ovvero in piccole regalie, non potendosi ritenere simili prestazioni (di così modesto valore) concretamente idonee a costituire corrispettivo per l’attività del pubblico ufficiale.

Di talché, sulla scia di quanto affermato dalla Suprema corte di cassazione, è possibile affermare che per la punibilità di tutte le fattispecie corruttive, ivi inclusa l’istigazione alla corruzione, è da escludere la sussistenza del reato nel caso in cui difetti – in maniera evidente – il rapporto di proporzione tra la prestazione e la controprestazione.

 

Ciò implica che nel caso della dazione di beni o utilità di scarso valore economico, la verifica della corrispettività con il compimento dell’atto amministrativo è elemento discretivo tra condotte di rilievo penale e quelle che invece rilevano solo sul piano degli illeciti disciplinari.

 

Quanto sopra costituisce la sintesi dei principi di diritto espressi dalla Corte di Legittimità che, di volta in volta, offre la propria interpretazione delle norme.

Amici cari, di fronte a situazioni simili a quelle sopra descritte, personalmente, al vostro posto sarei estremamente cauto nell’accettare modiche somme o regalie di esiguo valore, giacché per esperienza posso assicurare a tutti Voi che le Procure ed i Tribunali sono stracolmi di fascicoli relativi a casi analoghi a quelli oggetto delle suddette pronunce.

Avv. Massimo Biffa

 

Roma, 22.05.2022