Le circostanze ostative all’arresto in flagranza

Di recente ho avuto modo di leggere la sentenza della Cassazione chiamata ad esprimersi sulla legittimità dell’arresto della capitana della Sea Watch 3, eseguito dopo che la stessa aveva fatto ingresso nel porto di Lampedusa nonostante il blocco navale imposto dalle autorità italiane (Cassazione penale, Sez. III, C.c. 16 gennaio 2020 (dep. 20 febbraio 2020), N. 6626, Pres. Lapalorcia).

Tra i temi affrontati dalla decisione vi è quello della valutazione e dall’apprezzamento delle circostanze che impediscono l’arresto o il fermo – che la polizia è tenuta ad effettuare nel momento della decisione di procedere a limitare la libertà personale – che riveste un sicuro interesse per gli operatori di Polizia Locale.

Vale quindi la pena soffermarsi sui punti della sentenza dedicati a tale tematica.

A fronte della mancata convalida, da parte del G.I.P., dell’arresto in flagranza della capitana della nave Sea Watch 3 per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, la Corte ha respinto il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Agrigento per ottenere l’annullamento del provvedimento del Giudice delle indagini preliminari dello stesso Tribunale di non convalida dell’arresto in flagranza della capitana, ha avallato quindi la mancata convalida dell’arresto ed ha indicato i criteri cui attenersi nell’interpretazione dell’art. 385 c.p.p..

Tralasciando le pur rilevanti considerazioni espresse in sentenza sui limiti del sindacato del Giudice delle indagini preliminari in sede di convalida dell’arresto, ciò che qui preme evidenziare è la lettura della norma citata che la Cassazione propone autorevolmente e che certamente si riflette sull’operato di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria.

Come noto, l’art. 385 c.p.p. Divieto di arresto o di fermo in determinate circostanze, stabilisce che: “L’arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità”.

Nel caso concreto oggetto di giudizio, avallando la mancata convalida dell’arresto in flagranza per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, la Cassazione ha ritenuto corretta la non convalida per la sussistenza, ritenuta percepibile dagli operanti, della scriminante dell’adempimento del dovere di soccorso in mare di naufraghi ed ha quindi posto la massima secondo la quale “In tema di circostanze ostative all’arresto in flagranza, rappresentate dalla causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere o dell’esercizio di una facoltà legittima, e da una causa di non punibilità, non è richiesto che le stesse sussistano con evidenza, potendo essere anche solo verosimilmente esistenti

Si legge infatti in sentenza che: “Muovendo, in primo luogo, dall’interpretazione dell’art. 385 c.p.p., ritiene, il Collegio, che, come anche affermato da autorevole dottrina, non sia richiesto che la sussistenza della causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere o dell’esercizio di una facoltà legittima o della causa di non punibilità “appaia evidente”, ma che sia “verosimilmente esistente”.

Non si richiede, in altri termini, che sia “evidente”, così interpretando la locuzione “appaia” dell’art. 385 c.p.p., la causa di giustificazione, ma che essa sia ragionevolmente/verosimilmente esistente sulla scorta delle circostanze di fatto conosciute o conoscibili con l’ordinaria diligenza.”

Alla luce dell’art. 13, comma 3 della Costituzione – “secondo cui la restrizione della libertà deve essere adottata da un giudice con provvedimento motivato, potendo intervenire la polizia giudiziaria solo in casi tassativamente previsti dalla legge e con riserva di giurisdizione, essendo, il provvedimento restrittivo della libertà personale destinato a perdere efficacia se non sostituito da quello adottato dal giudice” –  il carattere eccezionale delle limitazioni interinali della libertà personale induce ad assicurare la massima estensione applicativa all’art. 385 c.p.p. e, pertanto, tale norma vieterebbe nella generalità delle ipotesi il ricorso alla precautela rappresentata dall’arresto non solo quando una scriminante appaia all’evidenza esistente, ma anche qualora il fatto risulti verosimilmente compiuto in presenza di una causa che ne esclude l’antigiuridicità.

Del resto, tale interpretazione estensiva trova conforto non solo nel richiamato articolo della Costituzione, secondo quanto ritenuto dalla pronuncia della Corte Suprema ma, più in generale risulta coerente con l’esigenza di “ridurre quanto più possibile il pericolo della limitazione della libertà personale di un imputato che non subirà pena”.

Il fatto che faccia riferimento al criterio di verosimiglianza, consente pertanto di ritenere che la sentenza voglia alludere ad una situazione in cui la scriminante viene percepita da chi osserva, in termini anche solo ipotetici, ma pur sempre all’esito di una valutazione assistita dai crismi della ragionevolezza.

L’importante approdo che discende da quanto precede è quindi che la polizia dovrebbe astenersi dall’arresto anche quando la presenza di una situazione  scriminante non risulti chiaramente attestata dalle risultanze disponibili nella flagranza del reato, ma soltanto si profili come possibile alla luce di qualche elemento di contesto che emerga dalla vicenda di cui ci si occupa.

Roma, 1 marzo 2021

 

Avv. Massimo Biffa