NORME DI INTERESSE PER LA POLIZIA MUNICIPALE ALL’INTERNO DEL DECRETO LEGGE SICUREZZA 2018: ACCESSO AL CED – SPERIMENTAZIONE DI ARMI AD IMPULSI ELETTRICI – DASPO URBANO

Come noto, all’insediamento di un Nuovo Governo normalmente fa seguito l’emanazione di un Nuovo Decreto sicurezza, che contiene il “manifesto programmatico” dell’esecutivo in materia di politiche sulla sicurezza.

Puntualmente, quindi, la Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 2018, n. 231, ha pubblicato il testo del DL 113/2018, che contiene “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità de Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”.

Proprio ieri, la Camera ha definitivamente approvato il decreto, trasformandolo così in legge dello Stato.

Scopo delle presenti note è quello di fornire agli appartenenti al Corpo della Polizia Municipale una guida alla lettura delle norme che riguardano i loro compiti istituzionali.

Come anticipato nel titolo, infatti, gli articoli di interesse diretto per la Polizia Municipale sono:

l’art. 18, “Disposizioni in materia di accesso al CED interforze da parte del personale della polizia municipale”;

l’art. 19, “Sperimentazione di armi ad impulsi elettrici da parte delle Polizie municipali”;

l’art. 21, “Estensione dell’ambito di applicazione del divieto di accesso in specifiche aree urbane”.

 

A. Procedendo nell’ordine, quindi, l’art. 18, “Disposizioni in materia di accesso al CED interforze da parte del personale della polizia municipale” stabilisce:

  1. Fermo restando quanto previsto dall’art. 16-quater del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, il personale dei Corpi e servizi di polizia municipale dei comuni con popolazione superiore ai centomila abitanti, addetto ai servizi di polizia stradale, in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, quando procede al controllo ed all’identificazione delle persone, accede, in deroga a quanto previsto dall’articolo 9 della legge 1 aprile 1981, n. 121, al Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8 della medesima legge al fine di verificare eventuali provvedimenti di ricerca o di rintraccio esistenti nei confronti delle persone controllate.
  2. Con decreto del Ministro dell’interno, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, nonché il Garante per la protezione dei dati personali, sono definiti le modalità di collegamento al Centro elaborazione dati e i relativi standard di sicurezza, nonché il numero degli operatori di polizia municipale che ciascun comune può abilitare alla consultazione dei dati previsti dal comma 1.
  3. Per l’attuazione del presente articolo è autorizzata la spesa di 150.000 euro per l’anno 2018. Ai relativi oneri si provvede ai sensi dell’art. 39”.

In sintesi, quindi, come è agevole evincere dal testo, viene estesa anche ai Corpi e servizi della polizia municipale dei Comuni con popolazione superiore ai centomila abitanti la possibilità di interrogare il Centro Elaborazione Dati interforze previsto dall’art. 8 della legge  1 aprile 1981, n. 121.

L’esigenza posta a base della norma è quella di garantire i flussi informativi tra le forze di polizia, nell’ottica di rafforzare il sistema di prevenzione e di sicurezza.

Come noto, la normativa in precedenza vigente consentiva già, al personale della polizia municipale, di accedere allo schedario dei veicoli rubati ed allo schedario dei documenti di identità rubati, nonché di accedere alle informazioni sui permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati.

Con la nuova disposizione viene pertanto ampliata la possibilità, per il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale ed in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, di accedere al CED interforze “al fine di verificare eventuali provvedimenti di ricerca o di rintraccio esistenti nei confronti delle persone controllate” come, ad esempio, provvedimenti restrittivi della libertà personale; rintraccio delle persone scomparse, ecc..

Secondo il tenore letterale della norma, è consentita soltanto l’interrogazione del CED, con esclusione della possibilità di introdurre dati.

Inoltre, come visto, per l’accesso sono previsti limiti oggettivi e soggettivi atteso che, come chiaramente indicato, l’interrogazione può avvenire soltanto a seguito di controllo eseguito su strada, da personale dotato della qualifica di agente di pubblica sicurezza ed allorquando si proceda al controllo ed all’identificazione della persona.

Da ciò discende che, in caso di interrogazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dalla norma, si incorrerebbe in responsabilità penale per il reato di “Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico”, di cui all’art. 615 ter c.p..

 

B. Con riferimento al successivo art. 19, “Sperimentazione di armi ad impulsi elettrici da parte delle Polizie municipali”, la norma dispone:

  1. Previa adozione di un apposito regolamento comunale, emanato in conformità alle linee generali adottate in materia di formazione del personale e di tutela della salute, con accordo sancito in sede di Conferenza Unificata, i comuni con popolazione superiore ai centomila abitanti possono dotare di armi comuni ad impulso elettrico, quale dotazione di reparto, in via sperimentale, per il periodo di sei mesi, due unità di personale munito della qualifica di agente di pubblica sicurezza, individuato fra gli appartenenti ai dipendenti Corpi e Servizi di polizia municipale.
  2. Con il regolamento di cui al comma 1, i comuni definiscono, nel rispetto dei principi di precauzione e di salvaguardia dell’incolumità pubblica, le modalità della sperimentazione che deve essere effettuata previo un periodo di adeguato addestramento del personale interessato nonché d’intesa con le aziende sanitarie locali competenti per territorio, realizzando altresì forme di coordinamento tra queste ed i Corpi e Servizi di polizia municipale.
  3. Al termine del periodo di sperimentazione, i comuni, con proprio regolamento, possono deliberare di assegnare in dotazione effettiva di reparto l’arma comune ad impulsi elettrici positivamente sperimentata. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 4 marzo 1987, n. 145, ad eccezione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2.
  4. I comuni e le regioni provvedono, rispettivamente, agli oneri derivanti dalla sperimentazione di cui al presente articolo e alla formazione del personale delle polizie municipali interessato, nei limiti delle risorse disponibili nei propri bilanci.
  5. All’art. 8, comma 1-bis, del decreto legge 22 agosto 2014, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146, le parole <<della pistola elettrica Taser>> sono sostituite dalle seguenti: <<dell’arma comune ad impulsi elettrici>>”.

La norma in questione non pone particolari problemi di interpretazione in quanto si limita ad estendere anche alla polizia municipale la sperimentazione di armi ad impulsi elettrici già in corso presso le altre forze di polizia.

Le armi ad impulsi elettrici, come noto, anziché utilizzare i proiettili, ricorrono a una scossa elettrica per rendere innocuo un aggressore o un violento. Non lo uccidono, non lo feriscono, ma lo immobilizzano, lo stordiscono. Gli impediscono di continuare a portare avanti qualsiasi azione (illegale o pericolosa, si presume) stia compiendo.

Il recupero della mobilità è quasi immediato, il sistema è infatti studiato per dare agli agenti il tempo necessario per bloccare il soggetto o, alla vittima di un’aggressione, il tempo per scappare e chiedere aiuto.

Come si legge nel testo della norma, l’assegnazione verrà effettuata inizialmente in via sperimentale, per un periodo di sei mesi e, comunque, sempre dopo un periodo di adeguato addestramento del personale interessato.

Una volta concluso il periodo di sperimentazione, i comuni potranno deliberare di assegnare in dotazione effettiva di reparto l’arma comune ad impulsi elettrici positivamente sperimentata.

Pur nella consapevolezza della necessaria cautela nell’uso di questo strumento, è però chiaro che la dotazione di un mezzo ulteriore rispetto alle comuni armi da fuoco, consentirà, a coloro che disporranno di questo nuovo strumento, di graduare il proprio intervento e quindi di scegliere se e quando farvi ricorso, nel rispetto del principio di proporzionalità, che governa la corretta applicazione della scriminante dell’uso legittimo delle armi di cui all’art. 53 c.p..

 

C. Da ultimo, l’art. 21 del Nuovo Decreto sicurezza, rubricato “Estensione dell’ambito di applicazione del divieto di accesso in specifiche aree urbane” stabilisce.

All’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. dopo le parole <<su cui insistono>> sono inserite le seguenti:<<presidi sanitari>>;
  2. dopo le parole <<flussi turistici,>> sono inserite le seguenti: <<aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli,>>”.

In buona sostanza, con il presente art. 21 viene operata una integrazione all’art. 9, comma 3, del decreto sicurezza Minniti, inserendo tra i luoghi che possono essere individuati dai regolamenti di polizia urbana ai fini dell’applicazione delle misure a tutela del decoro, con la possibilità, quindi, di applicare il provvedimento di allontanamento del questore – il c.d. Daspo urbano – i presidi sanitari e le aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e spettacoli pubblici.

Premesso che la parola Daspo è l’acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, va rilevato che una delle novità del decreto “immigrazione e sicurezza” dell’attuale governo riguarda appunto l’applicazione del cosiddetto “DASPO urbano”, misura introdotta per la prima volta dall’ultimo governo di centrosinistra.

Il nuovo decreto legge, come visto, ha esteso i campi di applicazione del “DASPO urbano”, rendendo più severa una norma già esistente.

È sicuramente utile ricordare che il “DASPO urbano” si chiama così perché è simile all’originario DASPO, ossia Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, misura adottata in Italia nel 1989 per contrastare la violenza negli stadi.

Lo scorso anno, l’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti, promosse un “decreto sicurezza” in cui si parlava per la prima volta di “DASPO urbano”, ossia una misura con cui un sindaco – in collaborazione con il prefetto – può multare e poi stabilire un divieto di accesso ad alcune aree della città per chi «ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione» di infrastrutture di trasporto (strade, ferrovie e aeroporto).

Per fare qualche esempio chiarificatore, a Milano, per esempio, i primi provvedimenti di DASPO urbano previsto dal decreto Minniti sono stati applicati lo scorso maggio, in circostanze diverse.

Nel primo intervento, i poliziotti della Polimetro hanno controllato una cittadina romena di 18 anni con precedenti, che elemosinava sulle scale della fermata della metropolitana Duomo, impedendo l’accesso alla banchina ad alcuni passeggeri: per questa ragione, contro di lei è stato adottato un provvedimento di allontanamento.

La stessa misura è stata decisa nei confronti di un irregolare con precedenti che, ubriaco, infastidiva alcuni passeggeri del tram della linea 1.

Nel decreto legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 4 ottobre, voluto in particolare dall’attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini, l’applicazione del DASPO urbano viene quindi estesa ai «presidi sanitari», ed alle «aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli».

 

Avv. Massimo Biffa

Roma, 29 novembre 2018