Norme e pratica dell’identificazione personale nei controlli di Polizia

Nell’ambito delle Giornate di Polizia Locale e Sicurezza Urbana che, come a Voi noto, si sono svolte lo scorso settembre a Riccione, ed alle quali ha partecipato anche una rappresentanza dello Studio Legale Biffa & Associati, il 9 settembre si è tenuta una interessante sessione dedicata, appunto, alle norme ed alla pratica dell’identificazione personale nei controlli di Polizia.

Il prestigio dei relatori intervenuti – Andrea Giacomini, Comandante Polizia Municipale di Ravenna; Fabrizio Fratoni, Ten. Colonnello Arma Carabinieri; Ugo Teracciano, Presidente Fondazione ASAPS per la Sicurezza Stradale e Urbana; Paolo Carretta, Generale a. r. Guardia di Finanza – e gli argomenti trattati, di sicuro interesse per Voi, mi inducono a dedicare questo spazio al tema.

 

  1. Concorderete sicuramente con il Presidente Terracciano nel ritenere che il lavoro della Polizia Locale possa essere sinteticamente, ma efficacemente definito come “il controllo del comportamento delle persone”.

Di conseguenza, l’identificazione è il tema quotidiano, trasversale, di tutte le attività di Polizia.

Se ci si chiede cosa voglia dire “identificazione” si può rispondere che identificazione significa accertare una condizione di uguaglianza assoluta tra la reale identità di una persona fisica e quella dalla stessa dichiarata.

Nell’identificazione, l’agente stabilisce che la persona è veramente quello che risulta dal documento.

L’identificazione può intendersi riferibile all’accertamento dell’identità di una persona, ovvero all’esatta attribuzione alla stessa delle generalità: nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza/domicilio/dimora ed eventualmente nazionalità, cittadinanza, professione, stato civile, paternità e maternità, eventualmente codice fiscale (C.F.).

In alternativa, con il termine identificazione si intende far riferimento ad una serie di attività, svolte dalla P.G., ma anche da pubblici ufficiali e da medici legali, tese a stabilire l’identità di una persona (vivente) o di una salma.

In entrambi i casi “viene dato un nome ad un volto”.

1.1. La procedura identificativa ordinaria si svolge a cura del Pubblico Ufficiale prendendo visione di un documento di riconoscimento e comparandolo con la persona da identificare. Tale identificazione semplificata presuppone che il cittadino sia munito di un documento di riconoscimento, adempimento che, salvo leggi speciali ed eccezioni (soggetti pericolosi o sospetti per l’autorità di P.S.), non è imposto da nessuna norma.

L’identificazione di polizia amministrativa – e, in via generale, il potere di identificazione – è implicitamente previsto dagli artt. 13 e 14 L. n. 689/81.

Tale legge infatti facoltizza in tal senso gli appartenenti “agli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa”, nonché gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria. Pare infatti evidente che la contestazione e l’accertamento delle violazioni amministrative  passi necessariamente per l’identificazione dei responsabili, persone fisiche e soggetti diversi, oltre che degli eventuali testimoni.

La completa identificazione delle persone fisiche implica la conoscenza dei seguenti dati: nome, cognome, luogo e data di nascita, indirizzo della residenza o domicilio, ed estremi del documento di identificazione. Nei casi in cui si proceda in materia economica o antiriciclaggio, la completa identificazione implica anche la conoscenza del Codice Fiscale.

1.2. Nel caso in cui venga esibito un documento scaduto di validità, un pubblico ufficiale può completare l’identificazione attraverso una dichiarazione a lui resa dal titolare che sottoscriva la fotocopia di tale documento, confermando l’attualità dei dati ivi contenuti (art. 45 DPR n. 445/2000). È comunque fatta salva, per le amministrazioni pubbliche ed i gestori e gli esercenti di pubblici servizi, la facoltà di verificare, nel corso del procedimento, la veridicità e l’autenticità dei dati contenuti nel documento di identità o di riconoscimento.

1.3. Cosa deve fare il pubblico ufficiale che intenda procedere all’identificazione. Il pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (art. 651 cp), chiede alla persona fisica di declinare (cioè riferire verbalmente) le proprie generalità, che consistono nel nome, nel cognome, nella data e nel luogo di nascita, nella residenza, nel proprio status (coniugato/a o celibe/nubile), nella professione e, se necessario, nella paternità e maternità.

Laddove le informazioni vengano richieste ad un soggetto terzo, in occasione di tumulto, pubblico infortunio o pericolo, in flagranza di reato, la legittimazione attiva a procedere all’identificazione è riconosciuta non solo al pubblico ufficiale, ma anche all’incaricato di un pubblico servizio (art. 652 cp).

L’obbligo di dare indicazioni sulla propria identità personale può ritenersi assolto anche mostrando un documento di riconoscimento, ma ritirarlo violentemente, prima che il p. u. ne possa esaminare il contenuto, configura il diniego di fornire indicazioni sulla propria identità, per averne impedito allo stesso la lettura.

1.4. Rifiutare la consegna del documento di riconoscimento, rectius di identità, agli ufficiali e agenti di Pubblica Sicurezza (che esercitino in concreto e attualmente la funzione) integra la violazione degli artt. 4 T.U.L.P.S. e 294 del Regolamento.

Tuttavia, l’Autorità di P.S. può ordinare di munirsi del documento di identità entro un termine e di esibirlo a richiesta, solo alle persone ritenute pericolose o sospette, prospettando loro che, altrimenti, si procederà a fotosegnalazione delle stesse qualora non siano in grado o rifiutino di provare la propria identità.

Il rifiuto di esibizione presuppone comunque la disponibilità del documento di riconoscimento che, come detto, non è obbligatoria per i comuni cittadini, a meno che non svolgano attività per cui sia contemplato e che richiedano particolari autorizzazioni o abilitazioni, quali la guida di un autoveicolo, la pesca, la caccia etc.

In questi casi, è generalmente previsto un documento di riconoscimento specifico, che attesti un requisito e la sua attualità (es. patente di guida), venendo comminata una sanzione da leggi speciali per chi non lo esibisca o lo esibisca scaduto.

 

  1. A conferma ed a conclusione di quanto fin qui esposto, ritengo molto utile sottoporre alla Vostra attenzione – così come proposta dal Generale Carretta – una breve rassegna della giurisprudenza che si è occupata di casi concreti in cui sono emersi vari aspetti e problematiche relativi all’identificazione

2.1. Completezza dei dati identificativi – Il rifiuto di dare indicazioni sulla propria identità (di cui all’ art. 651 c.p.) va riferito non solo al nome e cognome, ma anche a tutte le altre indicazioni richieste per una completa identificazione (Cass. Pen. 13.5.1948, Cass. Pen. 10.11.1981).

– Non può valere ad escludere la contravvenzione, né la circostanza che il soggetto fornisca una qualche indicazione sulla propria identità personale, senza fornire le complete generalità, né il fatto che la sua identità sia facilmente accertabile (Cass. Pen. 27.2.1998).

– Sussiste la contravvenzione se il rifiuto concerne il luogo di residenza (Cass. Pen. 7.12.1962).

– Sussiste la contravvenzione anche se la persona è conosciuta dal p.u. o possa essere facilmente identificata (Cass. Pen. 30.3.1968, Cass. Pen. 12.2.1970, Cass. Pen. 3.10.1984).

– La contravvenzione sussiste anche quando il p.u. richiedente sia in grado di procurarsi aliunde le notizie sull’identità dell’inquisito (Cass. Pen. 19.4.1974, Cass. Pen. 27.1.1976, Cass. Pen. 18.4.1989).

– Le norme relative alla non menzione della paternità e maternità negli atti (art. 2 legge 31 0ttobre 1955, n. 1064), non hanno rilevanza per l’art. 651 c.p. che ha un ambito di applicazione diverso (Cass. Pen. 26.4.1962).

– Il rifiuto di consegnare il documento di riconoscimento (eventualmente posseduto) al pubblico ufficiale (che eserciti in concreto la funzione) non integra il reato di cui art. 651 c.p. che sanziona il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità, bensì la violazione

degli artt. 4 T.U.L.P.S. e 294 reg. (S.C. sez. I Pen. Sent. 22 giugno – 19 settembre 2017, n. 42808).

2.2. Presupposto della richiesta formulata dal pubblico ufficiale. Il reato non richiede, per essere integrato, nessun presupposto di necessità, ovvero di fondatezza della richiesta (Cass. Pen. 28.4.1955), venendo rimessa al criterio discrezionale del p.u. la facoltà di chiedere a “chiunque”, nell’esercizio delle sue funzioni, le generalità e le altre notizie di cui all’art. 651 c.p. (Cass. Pen. 4.2.1952).

Ove non fosse chiaro che chi opera sta svolgendo la propria funzione (es. non veste un’uniforme), l’operatore dovrà qualificarsi con chiarezza mostrando la tessera dell’amministrazione di appartenenza e dovrà chiarire bene la denominazione dell’organismo cui appartiene (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Locale, guardie venatorie, guardie ecologiche).

2.3. Documento esibito e repentinamente ritirato – In tema di rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale (art. 651 c.p.), mostrare il documento ritirandolo violentemente, prima che il pubblico ufficiale possa esaminarne il contenuto, configura il reato per aver impedito al pubblico ufficiale di leggerne gli estremi (Cass. Pen. 7.3.1997 – Cass. Pen. 18.6.1997).

2.4. Momento in cui si perfeziona il reato di rifiuto di generalità – Ai fini della consumazione del reato (art. 651 c.p.) è sufficiente il rifiuto di fornire al Pubblico Ufficiale indicazioni circa la propria identità personale, pertanto è irrilevante che tali indicazioni vengano successivamente fornite o che l’identità del soggetto sia facilmente accertata per la conoscenza personale da parte del Pubblico Ufficiale o per altra ragione (Trib. Roma, Sez. X, 24.5.2014).

– Il reato di rifiuto di generalità, si perfeziona con il semplice diniego di fornire le richieste indicazioni sulla propria identità personale, nulla rilevando, quindi, ai fini della sussistenza dell’illecito, che dette indicazioni vengano fornite in un momento successivo (Cass. Pen., Sez. VI, 6.11.2006, n. 41716).

– Il reato di rifiuto di generalità si perfeziona con il semplice diniego di fornire le richieste indicazioni sulla propria identità personale, non rilevando, ai fini della sussistenza dell’illecito, che dette indicazioni vengano fornite in un momento successivo (Cass. Pen. 18.6.1997, Cass. Pen. 9.1.1985).

– Il reato previsto dall’art. 651 c.p. – rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale – è istantaneo, in quanto si consuma nel momento stesso in cui il soggetto attivo, che ne sia stato legittimamente richiesto, rifiuti di dichiarare la propria identità, giacché tale condotta produce di per sé la lesione del bene tutelato dalla norma incriminatrice, vale a dire l’ordine pubblico, inteso come interesse generale a evitare ogni intralcio all’attività dei pubblici ufficiali preposti istituzionalmente all’assolvimento di compiti di prevenzione, accertamento o repressione dei reati o di garanzia della pace e della tranquillità pubblica. È del tutto irrilevante, perciò, che il pubblico ufficiale possa accertare in altro modo l’identità del destinatario del suo ordine, così come è irrilevante l’eventuale ripensamento della persona interpellata, che dopo un iniziale rifiuto, si risolva, finalmente, a indicare le proprie generalità (Cass. Pen., 25.5.1995, n. 6052).

– I conducenti di veicoli sono tenuti a dare le generalità al pubblico ufficiale che le abbia richieste e l’erronea persuasione che le indicazioni siano contenute nel libretto, già in possesso dell’agente, non esclude né la sussistenza né la punibilità del reato (Cass. Pen. 24.2.1961).

– Quanto all’elemento soggettivo del reato, trattandosi di contravvenzione, è sufficiente la colpa, non occorrendo la conoscenza, ma bastando la semplice rappresentabilità della qualità di pubblico ufficiale nel richiedente. Ad escludere il reato, poi, non è necessario che la richiesta integri un atto arbitrario del pubblico ufficiale, essendo sufficiente la mera illegittimità (Cass. Pen. 23.2.1977).

– Il reato di rifiuto di generalità si perfeziona con il semplice diniego di fornire le richieste indicazioni sulla propria identità personale, nulla rilevando, quindi, ai fini della sussistenza dell’illecito, che dette indicazioni vengano fornite in un momento successivo (Cass. Pen., Sez. I, 26.9.1997, n. 8624).

 

2.4. Ufficiale/Agente di PG che sia parte in causa o fuori servizio – L’appartenente alla Polizia che, alla guida della propria autovettura, sia coinvolto in fatti di circolazione stradale può, nella veste di ufficiale di polizia giudiziaria, ove rilevi la ricorrenza degli estremi di un reato, procedere all’identificazione della persona, autrice di esso, richiedendo alla stessa indicazioni sulla sua identità personale.

Qualora il soggetto richiesto rifiuti di fornire le generalità, risulta integrato il reato di cui all’art. 651 c.p. (Cass. Pen. 29.3.1971).

Il fatto di essere permanentemente in servizio, da parte di un appartenente alle FFPP, implica una situazione di fatto diversa da un esercizio (attuale) delle funzioni del proprio ufficio, prevedendosi che il pubblico ufficiale possa in ogni momento intervenire per esercitarle, pur non trovandosi concretamente ad essere comandato in servizio. Gli appartenenti alla (ora) Polizia di Stato “in servizio permanente” sono sempre tenuti, come appartenenti alla Polizia giudiziaria, anche se liberi dal servizio, ad accertare i reati e le infrazioni amministrative. Ne consegue che il rifiuto opposto alla richiesta di un assistente di Polizia di fornire le generalità integra il reato previsto dall’art. 651 c.p. (Cass. Pen., 24.3.2003, n. 11709).

In applicazione di tale quadro normativo, la S.C. ha tuttavia coerentemente confermato l’esclusione della configurabilità del reato di cui all’art. 651 c.p. in un caso in cui un ufficiale della polizia stradale, senza contestare alcuna specifica infrazione, aveva chiesto, senza ottenerle, le generalità al conducente di una macchina operatrice, dopo che questi aveva effettuato una manovra che aveva intralciato la marcia del veicolo privato sul quale il detto ufficiale in quel momento si trovava, quale passeggero (Cass. Pen. 8.10.1993 e 17.4.2001).

 

Roma, 26 novembre 2020

Avv. Massimo Biffa