
RESISTENZA DEL PRIVATO VERSO PIÙ PUBBLICI UFFICIALI: REATO UNICO O CONCORSO DI REATI?
Carissimi,
Voglio condividere con Voi il contenuto di una recente decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 40981 del 22 febbraio 2018) che sono state chiamate a pronunciarsi in ordine ad un contrasto giurisprudenziale sorto in seno alle sezioni semplici in tema di resistenza a pubblico ufficiale.
La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite riguarda la configurabilità di un unico reato o una pluralità di fattispecie criminose nel caso di resistenza ex art. 337 c.p. da parte del privato rivolta verso più pubblici ufficiali.
Prima di illustrarVi le conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite, ritengo utile esporre sia pur brevemente il fatto.
L’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere del delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, e 337 c.p., “per aver rivolto minacce di morte e usato violenza contro i Funzionari di P.S (..) dicendo loro <<ti ammazzo, io sono di Ancona, quanto siete voi io vi ammazzo tutti>>, <<lasciatemi andare che vi ammazzo>>, strattonandoli e tentando di prenderli a pugni per opporsi mentre i predetti ufficiali intervenivano per impedire di aggredire P.D. (..).
All’esito del primo grado di giudizio, celebratosi con le forme del rito abbreviato, il Tribunale di Ancona, escluse le attenuanti generiche e riconosciuta la continuazione ex art. 81, comma 2, c.p. nonché la diminuente per il rito, condannava l’imputato alla pena di quattro mesi e venti giorni di reclusione.
La Corte di Appello, dal canto suo, confermava la decisione del giudice di prime cure precisando che la “continuazione” doveva essere ricollegata non tanto alla pluralità delle condotte delittuose quanto al fatto che l’illecito era stato consumato in danno di una pluralità di pubblici ufficiali.
Avverso siffatta ultima decisione, proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo, tra l’altro, l’inosservanza e la erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, per essere stata ritenuta la sussistenza di una pluralità di fatti in continuazione fra loro.
La Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione cui veniva assegnato il procedimento penale in oggetto, pronunciava ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, ravvisando in ordine alla soluzione del motivo sopra richiamato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 81, primo comma, c.p. nel caso in cui l’azione di resistenza sia stata rivolta contro una pluralità di pubblici ufficiali impegnati nel compimento del medesimo atto d’ufficio.
Secondo un primo orientamento (sez. 6 n. 35227 del 25.05.2017), infatti, il reato di cui all’art. 337 c.p. si perfeziona con l’offesa ad ogni singolo pubblico ufficiale nei cui confronti viene esercitata la violenza o la minaccia nel momento del compimento di un atto dell’ufficio al fine di ostacolarlo.
Il che significa che nel caso in cui con un unico atto offensivo venga offesa una pluralità di pubblici ufficiali, è realizzata una pluralità di violazioni dell’art. 337 c.p., e che pertanto la sanzione deve essere determinata in base all’art. 81 c.p., ovverosia con un aumento della pena prevista per la violazione fino al triplo.
Un secondo orientamento, all’opposto, nel ritenere che “la resistenza troverebbe il suo momento consumativo nell’opposizione all’atto” e che l’offesa realizzata nei confronti di una pluralità di pubblici ufficiali ha carattere meramente strumentale nella realizzazione dell’illecito, considera la condotta del reo, finalizzata ad impedire il compimento dell’atto, come azione unica, essendo unico l’atto amministrativo da impedire; e ciò indipendentemente dal numero dei pubblici ufficiali “coinvolti nella sua esecuzione”.
Richiamati i due citati orientamenti giurisprudenziali, le Sezioni Unite, prima di pronunciarsi e dirimere il contrasto giurisprudenziale, hanno ritenuto di analizzare la struttura del reato di resistenza a pubblico ufficiale, ravvisando la condotta tipica del reato nell’uso della violenza o della minaccia esercitata per opporsi ad un pubblico ufficiale nel compimento di un atto dell’ufficio o di un servizio, ed individuando l’interesse protetto dalla norma nel regolare funzionamento della pubblica amministrazione.
La giurisprudenza di legittimità, difatti, implicitamente ha escluso la possibilità di rinvenire nella norma plurimi interessi giuridici di pari rango contemporaneamente protetti (regolare andamento della pubblica amministrazione e integrità fisica del pubblico ufficiale).
Posto dunque che il bene giuridico tutelato dalla norma è il regolare funzionamento della pubblica amministrazione, nella decisione in parola i giudici hanno ritenuto doveroso circoscrivere il significato dell’espressione, evidenziando che “Secondo dottrina e giurisprudenza di diritto amministrativo, la pubblica amministrazione è unanimamente intesa come organizzazione complessa costituita sia dai beni materiali strumentali al raggiungimento delle finalità pubbliche sia dalle persone che per essa agiscono. La relazione giuridica intercorrente tra la persona fisica che ricopre l’ufficio o la funzione pubblica e la pubblica amministrazione è definito “rapporto organico” che determina l’identificazione della persona fisica incardinata nell’ufficio o nel servizio pubblico con la stessa pubblica amministrazione, sicchè il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio è esso stesso pubblica amministrazione costituendo lo strumento della sua estrinsecazione nel mondo giuridico tanto sul piano volitivo che su quello esecutivo”.
Conseguentemente, tanti sono i pubblici ufficiali implicati (o per meglio dire: vittime di resistenza), altrettanti saranno i reati ipotizzabili a carico del reo.
Tuttavia, poiché detti reati sono realizzati con un’unica azione, gli stessi devono ritenersi avvinti ai sensi dell’art. 81 c.p. e, dunque, in concorso formale.
Detto altrimenti, il fatto che i reati siano avvinti dal vincolo della continuazione comporta, come detto, un possibile aumento della pena sino al triplo.
Proseguono i Giudici di Piazza Cavour affermando inoltre che, “l’interesse al normale funzionamento della pubblica amministrazione va inteso in senso ampio, in quanto in esso si ricomprende anche la sicurezza e la libertà di determinazione e di azione degli organi pubblici, mediante la protezione delle persone fisiche che singolarmente o in collegio ne esercitano le funzioni o ne adempiono i servizi, così come previsto dagli 337 artt. 336,e 338 c.p.”.
In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, le SS.UU. risolvendo il citato contrasto giurisprudenziale hanno espresso il principio di diritto per cui “in tema di resistenza a un pubblico ufficiale, ex art. 337 c.p., integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81 c.p., comma 1, la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio”.
Tanto dovevo
I migliori saluti
Avv. Massimo Biffa
Roma, 30 ottobre 2018