Riflessioni su l’accompagnamento coattivo del conducente di un veicolo a motore. L’art. 186 Cds.

Carissimi, il presente parere nasce dalla domanda che mi ha rivolto un vostro collega e che di seguito vi riporto: “commette reato il conducente di un veicolo o di un motoveicolo che, fermato nel corso di attività di controllo su strada, si rifiuta di seguire gli Agenti in caserma per sottoporsi ad alcooltest?”

Per rispondere compiutamente al quesito postomi, solo apparentemente di facile soluzione (in quanto si rende necessario sempre soffermarsi sul caso specifico), è doveroso fare un breve passo indietro e prestare attenzione al dettato normativo di cui all’art. 186 C.d.S.

La lettura della citata norma consente infatti di individuare quali siano le ipotesi in cui possano essere effettuati gli accertamenti necessari per riscontrare la guida in stato di ebbrezza.

Accertamenti, quelli elencati dall’art. 186 C.d.S., che vengono condotti da soggetti diversi ed attraverso altrettanto diverse modalità.

In particolare la norma distingue:

  • “prove preliminari” (art. 186 co. 3 C.d.S.). Gli organi di Polizia Stradale “possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove anche attraverso apparecchi portatili”. Tali accertamenti incontrano due limiti: il rispetto della riservatezza personale e l’assenza di pregiudizio per l’integrità fisica.

Si tratta di valutazioni di carattere preventivo-strumentale rispetto ad altri accertamenti che possono essere effettuati successivamente laddove, però, i primi abbiano dato esito positivo (come si sta per dire).

  • “accertamenti approfonditi” (art. 186 co. 4 C.d.S.). Nei casi in cui le prove preliminari diano esito positivo o in caso di incidenti o quando gli agenti preposti abbiano motivo di sospettare che il conducente sia in stato di alterazione psico-fisica, gli organi di Polizia Stradale possono verificare la sussistenza dello stato di ebbrezza avvalendosi della strumentazione e delle procedure ex 379 del Regolamento di attuazione ed esecuzione del C.d.S., ovverosia l’etilometro, e condurre gli accertamenti anche presso il più vicino ufficio o comando.
  • “accertamenti condotti da strutture sanitarie” (art. 186 co. 5 C.d.S.). Quando il conducente di un veicolo si trovi coinvolto in un incidente stradale e successivamente venga sottoposto a cure mediche, l’accertamento del tasso alcolemico viene effettuato dalle strutture sanitarie di base o da quelle accreditate su richiesta degli organi di polizia stradale.

Fuori dalle ipotesi sopra riassunte, dunque, qualora il conducente si rifiuti – nel corso di un controllo su strada – di seguire gli operanti per sottoporsi ad alcooltest, egli non commette il reato di cui all’art. 186, c. 7, C.d.S.

Il fatto che costui, però, non incorra nel reato di cui all’art. 186, co. 7, C.d.S. non esclude che lo stesso possa essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 186, co. 2, C.d.S.

Per scendere nel concreto, ci può venire in soccorso una recente pronuncia della IV Sezione della Suprema Corte di Cassazione, intervenuta a chiarire alcuni dubbi interpretativi.

Con la sentenza n. 12142, depositata il 31 marzo 2021, i Giudici di Piazza Cavour hanno affrontato il caso di un automobilista condannato in relazione al reato di cui all’art. 186 c. 7 C.d.S., dichiarando successivamente inammissibile il ricorso da lui presentato per il tramite del proprio difensore di fiducia.

Stando alla ricostruzione della vicenda operata dal Giudice di Merito, così come riportata dal Supremo Collegio, l’automobilista di cui alla richiamata sentenza era stato estratto dal proprio furgoncino sito fuori strada da una pattuglia dei Carabinieri, “palesemente ubriaco, che odorava di alcol e che non riusciva a stare in piedi”.

Dopodiché i militari, non provvisti né del pre-test né dell’etilometro, lo avevano accompagnato con il suo consenso nella Caserma più vicina munita dell’attrezzatura necessaria, sebbene più distante dalle altre stazioni che, però, ne erano sprovviste.

Ivi giunto, poi, l’automobilista aveva cambiato idea e si era rifiutato di sottoporsi all’accertamento dello stato di ebrezza con gli strumenti tecnici.

Condannato dai giudici di primo e secondo grado, a mezzo del proprio difensore l’automobilista proponeva ricorso per cassazione adducendo quali motivi “violazione di legge” e “vizio di motivazione” con riferimento all’articolo 186, co. 7, C.d.S.

In particolare, il difensore deduceva l’illegittimità della richiesta avanzata dalle forze dell’ordine di recarsi a circa 30 km di distanza dal luogo del fatto per sottoporre l’automobilista all’etilometro.

Ad avviso del difensore tale richiesta non era infatti riconducibile a nessuna delle ipotesi di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 186 C.d.S.

L’invito era illegittimo ex art. 186, c. 3, C.d.S., in quanto i militari operanti non erano in possesso del pre-test.

Era parimenti illegittimo ex art. 186, c. 4, C.d.S., atteso che nei confronti dell’automobilista non era stato effettuato né il pre-test né il test con etilometro e, vieppiù, il predetto non era stato accompagnato presso il più vicino comando.

Infine il rifiuto era illegittimo ai sensi del 5 comma dell’art. 186 C.d.S., non essendo intervenuto il ricovero presso una struttura sanitaria in quanto l’automobilista non abbisognava di cure mediche.

Come anticipato il ricorso avanzato dal difensore del condannato veniva dichiarato inammissibile.

In particolare, la Suprema Corte affermava che le ragioni addotte a sostegno del ricorso non erano conferenti al caso di specie, atteso che non poteva vertersi in una ipotesi di mero rifiuto a seguire gli operanti, ex art. 186, comma 7, C.d.S., avendo il predetto conducente dapprima manifestato il consenso ad essere condotto presso la caserma (ancorché non fosse la più vicina essendo distante ben 30 km), salvo poi palesare – ivi giunto – il proprio rifiuto.

In altre parole, stando a quanto statuito dai Supremi Giudici, poiché il comma 4 dell’art. 186 prevede che la caserma/ufficio debba essere il “più vicino”, laddove così non fosse e gli operanti intendano condurlo presso la caserma/ufficio più lontano, il conducente può legittimamente rifiutarsi di seguirli, senza incorrere nel reato in commento.

Ciò in quanto nel nostro ordinamento vige il “principio di legalità” secondo il quale l’esercizio del potere pubblico – da intendersi qui come potere di accompagnamento coattivo – deve trovare fondamento necessariamente nella legge.

Ebbene, analizzando le strutture dei commi 3, 4, 5 e 7 dell’art. 186 C.d.S., tale potere non è implicito in quanto, costituendo l’accompagnamento una limitazione della libertà personale, esso deve essere, come detto, esplicitamente previsto dalla legge

Sicché, il rifiuto all’adempimento di un obbligo non dettato dall’invocato combinato disposto dei commi terzo e settimo dell’art. 186, non integra la contravvenzione prevista da dette disposizioni.

Tanto dovevo.

Avv. Massimo Biffa