Falsa attestazione della presenza in Ufficio: brevi spunti di riflessione sul rapporto tra l’azione disciplinare e quella penale.

Cari Soci,

con il presente articolo intendo condividere con voi alcune riflessioni relative alla falsa attestazione della presenza in Ufficio di un Collega, tematica che ritengo possa essere di vostro sicuro interesse.

Come saprete, l’art. 55 ter del Testo Unico del pubblico impiego, così come modificato dal D.Lgs. n. 150/2009, ha introdotto il principio generale dell’autonomia tra il procedimento scaturente da illecito disciplinare e quello derivante dall’esercizio dell’azione penale in relazione al medesimo fatto.

Ciò nonostante, la stessa norma prevede la possibilità – eccezionale – di non intraprendere oppure di sospendere il procedimento disciplinare nel caso di illeciti di particolare gravità che integrino anche fattispecie penali; in tal caso, la Pubblica Amministrazione resta libera di valutare gli atti relativi al processo penale per poi effettuarne un’autonoma contestazione disciplinare.

Sottopongo alla Vostra attenzione il caso, oggetto di pronuncia intervenuta con sent. n. 66/2020 emessa dal Tribunale di Cremona e poi confermata dalla Corte d’Appello competente in cui, nel giudizio disciplinare instaurato nei confronti di una dipendente che aveva attestato falsamente la sua presenza in Ufficio, si è addivenuti ad un esito diametralmente opposto rispetto a quanto verificatosi in sede penale, a conferma dell’autonomia tra i due differenti tipi di procedimento.

In dettaglio, nel caso in esame, la ricorrente aveva attestato falsamente la sua presenza in Ufficio mediante l’aiuto di una collega, che ne aveva strisciato il tesserino pur in assenza della titolare dello stesso strumento di riconoscimento e registrazione della presenza.

Ebbene, l’autrice della condotta illecita, dopo essere stata licenziata, proponeva ricorso al Tribunale di Cremona, che lo rigettava.

La Corte d’Appello territoriale adita, ha confermato la statuizione del Tribunale evidenziando dapprima come la condotta contestata rientri nella fattispecie di cui all’art. 55 quater, co. 1, lett. a) D. Lgs. n. 165/2001 ed ossia “Falsa attestazione della presenza in servizio”, e poi ha negato valenza decisiva alla sentenza con cui la ricorrente, per il medesimo fatto, veniva assolta in sede penale.

Nello specifico, la Corte d’Appello ha ritenuto che la sentenza penale fosse stata pronunciata senza tenere conto delle denunce e della documentazione versata invece nel giudizio civile che, pertanto, integravano un quadro probatorio ben più ampio rispetto a quello riservato alla cognizione del Giudice penale.

La Corte territoriale, in ossequio al disposto l’art. 55 ter del Testo Unico del pubblico impiego ha pertanto effettuato un’autonoma valutazione del fatto illecito.

Ebbene, ho ritenuto utile segnalarvi tale pronuncia proprio perché ritengo sia una chiara esemplificazione di come il procedimento disciplinare segua un corso – e possa avere un esito – differente rispetto al procedimento penale che eventualmente si instauri al verificarsi di un fatto qualificabile sia come illecito disciplinare che come reato.

 

Massimo Biffa

 

Roma, settembre 2023