
Oltraggio a pubblico ufficiale e risarcimento del danno ad un operatore di polizia Locale.
Cari Soci,
- sono pervenute numerose richieste relative alle modalità di riscossione delle somme offerte – a titolo di risarcimento del danno – da parte degli indagati/imputati del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale.
Taluno di Voi mi ha persino rappresentato che spesso queste somme vengono fatte recapitare, solitamente per il tramite del Difensore dell’indagato/imputato, nei più disparati modi presso i singoli Gruppi di appartenenza dell’operatore oltraggiato.
Sono rimasto piuttosto perplesso, ad esempio, dal fatto che talvolta dette offerte risarcitorie vengono fatte pervenire sotto forma di assegno bancario intestato all’operante oltraggiato, addirittura a mezzo posta raccomandata.
Ancor più perplesso sono rimasto di fronte alle notizie inerenti il fatto che detti assegni e/o somme di denaro vengono conservate nelle cassaforti dei Gruppi.
Teoricamente non dovrebbe esserci per il PU alcun problema nell’accettazione della somma che gli venga offerta.
- Procediamo con ordine.
Come a Voi noto, l’art. 341-bis c.p. stabilisce che “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.
Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”.
Forse non tutti di Voi sanno, però, che il reato in questione era già previsto nel cd. “codice fascista” del 1931 sin dalla sua prima elaborazione, venendo abrogato nel 1999 dalla legge n. 205.
Nel 2005, però, la fattispecie è stata re-introdotta dal Legislatore nel codice penale, sotto l’egida dell’art. 341-bis c.p.
Ciò posto, come già evidenziato, il Legislatore ha riconosciuto all’indagato/imputato di porre in essere condotte riparatorie grazie alle quali potrà estinguere il reato a lui contestato.
Come si evince dal tenore letterale del terzo comma dell’art. 341-bis c.p., sopra riportato, laddove l’indagato/imputato risarcisca tanto il pubblico ufficiale oltraggiato, quanto il suo Ente di appartenenza, il reato sarà dichiarato estinto dal Giudice.
Ma dove finiscono questi soldi?
E soprattutto, c’è bisogno di una autorizzazione per accettarli?
Ebbene.
La risposta è molto ovvia.
Detti soldi, qualora accettati, spettano ai rispettivi destinatari.
Invero, mentre il ristoro economico fatto pervenire all’Ente deve necessariamente essere sottoposto ad un procedimento di approvazione da parte dell’Organo Esecutivo del Comune, per poi essere iscritto nelle relative poste del bilancio, al contrario le offerte risarcitorie fatte pervenire ai singoli pubblici ufficiali oltraggiati potranno essere da costoro incassate.
In altri termini, l’accettazione – o meno – della somma offerta dall’indagato all’oltraggiato è rimessa alla libera scelta del singolo “Vigile” oltraggiato.
Per altro, la circostanza per cui l’operatore di Polizia Locale possa scegliere direttamente se accettare o meno l’offerta risarcitoria senza dovere attendere decisioni di superiori gerarchici, è implicitamente esclusa dallo stesso Legislatore, che sul punto non ha impartito disposizione alcuna.
Tutto ciò significa che, per un verso il pubblico ufficiale oltraggiato sarà libero di decidere se accettare o meno l’offerta riparatoria, e, per altro verso, nessun vincolo né nulla osta dovrà (ovvero potrà) essere imposto al fine di consentire a detta persona offesa di esercitare il proprio diritto.
- Nessun impedimento dunque.
Il paradosso (o quasi) che si verificherebbe nel caso in cui il Comandante del Gruppo di Polizia Locale e/o chi per lui, impedisse all’oltraggiato di accettare ed incassare dette somme – ancorché pervenute in maniera irrituale, magari a mezzo raccomandata – precludendo quindi la possibilità, alla principale vittima del reato, di esercitare il proprio diritto di accettazione del ristoro, potrebbe in astratto andare incontro a responsabilità penale in relazione a diverse ipotesi di reato.
Ad esempio, potrebbe essere valutata la penale responsabilità in relazione al reato di appropriazione indebita pluriaggravata, ai sensi degli artt. 646 c.p. e 61, nn. 9 e 10, c.p., sebbene v’è da dire che nel caso di specie occorrerebbe dimostrare che il trattenimento delle somme è andato a vantaggio esclusivo del soggetto agente (la norma infatti esordisce affermando “Chiunque (…) si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso (…)”.
Altrettanto dubbiosa, sebbene non da escludersi, è la possibilità che detta condotta di “impedimento all’incameramento delle somme” integri il reato di cui all’art. 610 c.p.: violenza privata.
Se è vero che nel caso di specie la vittima è costretta ad assistere impotente alla lesione di un proprio diritto, è altrettanto vero che sarebbe di difficile dimostrazione (quanto meno in situazioni ordinarie e non conflittuali) l’elemento della “violenza o minaccia” richiesti quali elementi costitutivi – sebbene alternativi fra loro – del reato in questione.
Meno dubbi sussistono in ordine alla possibilità che la condotta in questione possa integrare il delitto di abuso d’ufficio, ex art. 323 c.p.
Conviene richiamare la disposizione, secondo cui “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
Ebbene, è pacifico che un Comandante di un Gruppo di Polizia Locale, quale dominus, eserciti funzioni e poteri finalizzati all’efficace ed efficiente – oltre che corretto e rispettoso dei principi di buon andamento dell’amministrazione – funzionamento del Gruppo stesso.
Dunque deve ritenersi integrato il requisito dello “svolgimento delle funzioni o servizio”.
Altrettanto pacifico è che nel caso di specie v’è una disposizione normativa (ossia l’art. 341-bis c.p.) che non lascia margini di discrezionalità.
Talché risulta integrato anche il secondo requisito normativo.
Del pari pacifico, da ultimo, è che con detta condotta “abusiva” si arrechi un ingiusto danno all’esponente della Polizia Locale oltraggiato.
Del che, si può ritenere integrato altresì il terzo requisito previsto dall’art. 323 c.p.
- Conclusivamente, alla luce della chiarezza della norma, ritengo che non vi sia alcun ostacolo a che una eventuale offerta risarcitoria formulata dall’indagato/imputato del delitto di cui all’art. 341-bis c.p. venga incamerata dall’Operatore oltraggiato, e che, laddove ciò venga impedito, potrebbero in astratto configurarsi i reati sopra menzionati.
Tanto dovevo.
I migliori saluti.
Avv. Massimo Biffa