RICCIONE 2022: I rischi penali dell’operatore di Polizia Locale – Analisi del Prefetto Dr. Alberto INTINI

I RISCHI PENALI DELL’OPERATORE DI POLIZIA LOCALE – ANALISI DI ALCUNI CASI ESEMPLIFICATIVI

ARRESTO ILLEGALE – PERQUISIZIONE ARBITRARIA

 

ARRESTO ILLEGALE – art. 606 Codice Penale

“Il pubblico ufficiale che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a tre anni.”

L’arresto illegale è stato previsto dal legislatore non solo per tutelare il bene della libertà personale dei singoli, ma anche per garantire l’interesse della P.A. ad uno svolgimento corretto delle proprie funzioni.

I delitti contro la libertà personale sono posti a tutela della libertà di movimento e di spostamento, che solo lo Stato, per mezzo dei suoi organi giurisdizionali, può limitare. La libertà personale rappresenta un diritto inviolabile ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione, che prevede in merito una riserva assoluta di legge.

La norma in oggetto punisce infatti il mancato rispetto, da parte del pubblico ufficiale, della riserva di legge in tema di arresto e fermo (artt. 380, 381 e 384 c.p.p.).

Inoltre, tale delitto, così come quello di perquisizione arbitraria (art. 609 c.p.), richiede per la sua configurazione l’abuso di potere, rientrando tra le ipotesi di reato ad illiceità o antigiuridicità speciale.

Di conseguenza, l’abuso o l’arbitrarietà dell’atto compiuto, oltre ad essere parte integrante del fatto di reato, condiziona anche la sussistenza del dolo, che consiste nella coscienza e volontà dell’abuso delle proprie funzioni.

Mentre il sequestro di persona richiede la volontà del soggetto agente di tenere la persona nella sfera del proprio dominio, l’arresto illegale o arbitrario è diretto a mettere il soggetto passivo nelle disponibilità dell’autorità competente, pur difettandone i presupposti.

Commento

Commette un arresto illegale il pubblico ufficiale che, volontariamente, esegua un arresto nella consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni, con lo scopo di mettere o tenere l’arrestato a disposizione dell’Autorità competente.

Si tratta di un reato proprio, in quanto soggetto attivo può essere soltanto un pubblico ufficiale. Ciò comporta necessariamente che, qualora si tratti, invece, di una persona incaricata di un pubblico servizio o esercente un servizio di pubblica necessità, non si possa parlare di arresto illegale, trattandosi, piuttosto, di un’ipotesi di sequestro di persona ex art. 605 c.p..

Va, altresì, evidenziato che, nell’ipotesi in cui un privato proceda ad un arresto nei casi consentiti dall’art. 383 c.p.p., esso è considerato un pubblico ufficiale e, dunque, qualora ecceda nei poteri concessigli dalla legge, si rende colpevole del delitto di arresto illegale.

La norma in esame punisce, dunque, il mancato rispetto, da parte del pubblico ufficiale, della riserva di legge in materia di arresto. Alla luce di ciò la condotta tipica consiste necessariamente negli atti con cui un pubblico ufficiale proceda all’arresto di una persona, abusando dei poteri attribuitigli in ragione della propria funzione. È, pertanto, necessario, per la configurazione di tale delitto, un abuso di potere, il quale costituisce il mezzo usato per procedere all’arresto. Detto abuso si può concretizzare sia nell’agire al di fuori dei poteri attribuiti dalla legge o dei casi da essa previsti, sia tramite un eccesso di competenza, sia, ancora, non osservando le modalità prescritte dal legislatore.

Se, tuttavia, l’abuso avviene nell’esercizio di un potere discrezionale e per raggiungere un fine legittimo, esso non è punibile penalmente.

Oggetto materiale del reato è la persona che subisce l’arresto illegale e su cui, quindi, ricade la condotta criminosa dell’agente.

L’evento tipico è rappresentato dalla restrizione nella vita di relazione del soggetto che subisce l’arresto illegittimo. Il reato si considera, dunque, consumato nel momento in cui venga posto in essere l’arresto, realizzando, in tal modo, una lesione della libertà personale altrui.

L’arresto illegale costituisce un’ipotesi di reato permanente, presupponendo il protrarsi della condotta antigiuridica per un ragionevole lasso di tempo.

Ai fini dell’integrazione del reato in esame è sufficiente che sussista, in capo al soggetto agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di eseguire un arresto abusando dei poteri inerenti alle proprie funzioni di pubblico ufficiale. L’errore sulle circostanze che legittimano l’arresto, cadendo sul fatto, ha effetto scusante.

Il delitto di arresto illegale, pur essendo accomunato al sequestro di persona, di cui all’art. 605 c.p., dal fatto di privare un soggetto della propria libertà personale, si differenzia da quest’ultimo per l’elemento soggettivo: si ha, infatti, un sequestro di persona qualora l’agente sia mosso dalla volontà di tenere la persona offesa all’interno del suo privato dominio; si ha, invece, un arresto illegale, nel caso in cui l’agente, seppur illegalmente, voglia mettere la persona offesa a disposizione dell’Autorità competente.

 

Giurisprudenza

Cass. Pen. Sez. 5, n. 30971/2015

L’elemento che caratterizza la fattispecie di cui all’art. 606 rispetto a quella di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere di cui all’art. 605, comma secondo n. 2 è individuabile nel fatto che l’abuso deve riguardare specificamente l’esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge. Ciò però non esclude che anche sul versante dell’elemento soggettivo si registri una differenza o, più correttamente, si riveli la specialità dell’art. 606.

Ed infatti per abusare del potere d’arresto è innanzi tutto necessaria la volontà di procedere ad un arresto e, dunque, quando ad agire sia un ufficiale od un agente di polizia giudiziaria, di compiere un atto che comporta ab origine l’intenzione di mettere il soggetto ristretto a disposizione dell’autorità giudiziaria. Conclusione che anche in questo caso si ricava agevolmente dalla lettera della norma incriminatrice, che punisce il pubblico ufficiale “che procede ad un arresto”.

La vicenda riguarda le violente modalità con cui venne effettuato quello che avrebbe dovuto essere nelle intenzioni degli imputati l’arresto del “palo” di uno spacciatore di droga all’interno di un parco cittadino, non rivelatosi come tale in seguito, e che, secondo i giudici di merito, aveva attirato in maniera superficiale le attenzioni degli operanti solo in ragione del suo aspetto. Sempre nella ricostruzione accolta nella sentenza impugnata, questi veniva bloccato a terra e violentemente percosso dopo che aveva reagito fuggendo al tentativo degli agenti (che operavano in borghese) di sottoporlo ad un controllo senza però prima qualificarsi. Successivamente veniva accompagnato presso il comando della Polizia Municipale, dove veniva illegalmente segregato in camera di sicurezza e fotosegnalato per detenzione di sostanze stupefacenti, nonché sottoposto ad una perquisizione personale degradante oltre che a dileggi a sfondo razziale ed infine rilasciato a fronte dell’evidenza della sua estraneità all’oggetto dell’operazione di polizia, senza che venisse redatto alcun verbale relativo a quello che nella sostanza era stato un arresto. Lo stesso veniva però denunziato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e falsamente ipotizzato al fine di giustificare sia le evidenti lesioni che gli erano state causate, sia la indebita limitazione della sua libertà personale.

“Pertanto, non è poi in dubbio che gli imputati volessero procedere ad un arresto. Né può dubitarsi che gli imputati non abbiano effettuato l’arresto, pur abusando dei propri poteri, con l’intenzione di mettere la persona fermata a disposizione dell’autorità giudiziaria, come per l’appunto evidenzia la sequenza di avvenimenti e che poi l’intenzione non si concretizzò solo perché essi, una volta resisi conto del clamoroso abuso perpetrato, hanno preferito non formalizzare l’arresto e rapidamente liberarsi dello “scomodo arrestato” restituendogli la libertà, ma non prima di avergli fatto sottoscrivere un verbale di identificazione dove si è cercato di giustificare  l’intera operazione addebitandogli il reato di resistenza a pubblico ufficiale.”

Cass. Pen. Sez. 6, n. 23423/2010

Il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l’elemento materiale (consistente nella privazione della libertà di un soggetto), ma si differenziano per l’elemento soggettivo, che nel primo caso richiede la volontà dell’agente di tenere la persona offesa nella sfera del suo dominio, mentre nel secondo caso è diretto comunque a mettere la persona offesa a disposizione dell’autorità competente, sia pure privandola della libertà in maniera illegale.

Un operatore di polizia aveva privato un cittadino della sua libertà, portandolo al Posto di Polizia Ferroviaria, dove veniva trattenuto senza alcun motivo e senza redigere alcuna relazione di servizio. “Sussistenza del sequestro di persona ex art. 605 c.p. in quanto l’imputato ha operato un indebito trattenimento del cittadino per alcune ore nel suo ufficio, privandolo della libertà solo perché si era sentito offeso dal suo comportamento, senza neppure prendere in considerazione la possibilità di metterlo a disposizione dell’autorità giudiziaria ed evitando di redigere e trasmettere un’eventuale denuncia”.

Cass. Pen. Sez. 5, 11071/2015

La fattispecie di cui all’art. 605 si distingue da quella prevista dal successivo art. 606 perché, mentre nella prima ipotesi, l’abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi viene punito proprio l’abuso specifico delle condizioni tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza) alle quali la legge subordina il potere di arresto.

I fatti riguardano l’accompagnamento ed il trattenimento in una caserma di Polizia di numerosi giovani partecipanti ad una manifestazione di piazza, nel corso della quale vi erano stati degli incidenti, poi fermati in diversi ospedali cittadini dove erano andati a farsi medicare. La Corte di Appello, con riferimento al fatto che questi giovani venivano sottoposti nella caserma a perquisizione personale, aveva ritenuto di escludere una interpretazione estensiva della L. n. 152 del 1975, art. 4: detta tesi veniva definita “improponibile, proprio perché tassativamente prevista per casi eccezionali, in funzione di prevenzione dei reati, funzione che nel caso in esame … difetta totalmente”. Ad avviso della Corte territoriale, “… il trattenimento immotivato delle persone offese nella caserma di polizia e la loro sottoposizione a vessazioni fisiche di ogni genere, assolutamente sganciate da esigenze di servizio, vale a configurare il delitto di sequestro di persona, dimostrando, anche sul piano soggettivo, la volontà di coloro che posero in essere tali condotte di ridurre in proprio dominio le persone illegittimamente convogliate nella caserma. Per cui il discrimen tra arresto illegale e sequestro di persona viene ravvisato nel verificarsi di una condizione obiettiva, consistente nella commissione di un reato con cui la persona, oggetto dell’intervento coercitivo del pubblico ufficiale, presenti un legame spazio-temporale riconosciuto rilevante dall’ordinamento in termini di flagranza o di quasi-flagranza. Solo in presenza di tale legame il pubblico ufficiale è autorizzato all’arresto, al fermo, o comunque alla privazione della libertà della persona. Calando questi principi nella realtà della situazione verificatasi presso la caserma di polizia, innescata dall’illegittimo prelevamento delle persone negli ospedali cittadini, è ravvisabile nei fatti il delitto di sequestro di persona …”.

Secondo consolidata opinione della Cassazione “il reato di sequestro di persona richiede, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza di infliggere alla vittima una illegittima privazione della libertà personale. … Peraltro, i comportamenti violenti e vessatori, confermati dall’istruttoria dibattimentale, nei confronti delle persone offese escludono in radice la possibilità che taluno dei presenti ritenesse di partecipare ad un’attività comunque istituzionale, o confidasse davvero nella legittimità delle disposizioni ricevute e delle modalità con cui vi si dava esecuzione.

Cass. Pen. n. 38247/2002

Il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l’elemento materiale (privazione della libertà), ma si differenziano per l’elemento soggettivo che nel primo caso richiede la volontà dell’agente di tenere la persona offesa nella sfera del suo privato dominio e, nel secondo, quella di metterla, sia pure illegalmente, a disposizione dell’autorità competente.

Nel caso veniva specificamente contestato ad un carabiniere di avere in due distinte occasioni provocato l’arresto di tre soggetti, creando in loro danno una fittizia condizione di flagranza nel possesso di cocaina da lui stesso preventivamente occultata nelle loro vetture, per poi rimettere al competente laboratorio di analisi un campione della stessa falsamente attestandone il rinvenimento nelle vetture e quindi simulando le tracce del reato ex art. 74 D.P.R. 309 del 1990.

Nella vicenda “l’imputato non ha minimamente inteso porre le persone offese, né le ha mai poste, “nella sfera del suo privato dominio”, ed invece, abusando dei poteri inerenti alle funzioni, ha inteso porre le stesse, ed in concreto le ha poste, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, inscenando a loro carico indizi di reato capaci di legittimare l’arresto in flagranza ed una vera privazione dello “status libertatis” rimessa alle sorti del procedimento penale e, pertanto, estranea alla sfera di dominio dell’agente”.

Cass. Pen. Sez. 5, n. 36885/2017

In tema di reati contro la libertà personale, risponde di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere (art. 605, co. 2, n. 2, c.p.) e non di arresto illegale (art. 606 c.p.) il pubblico ufficiale che trattenga indebitamente in caserma alcuni soggetti non già con la finalità di avviare nei loro confronti una procedura di arresto in flagranza di reato, ma con la diversa finalità di raccogliere le loro deposizioni. Ed invero, per aversi arresto illegale è necessario che l’agente abbia voluto effettuare un intervento coercitivo tipico, qualificato dalle norme procedurali che lo disciplinano e che contestualmente definiscono altresì la connotazione abusiva delle modalità di esercizio del potere attribuito (ovvero non attribuito) al pubblico ufficiale, ciò che difetta nel caso di specie, in cui l’abuso non riguarda specificamente l’esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge, integrandosi dunque la più grave ipotesi di sequestro di persona aggravato a norma dell’art. 605, co. 2, c.p..

Interessante questa decisione della Cassazione, che affronta una questione invero (e per fortuna) non molto approfondita nella giurisprudenza di legittimità, riguardante l’esatta delimitazione del perimetro applicativo delle due fattispecie penali, che presentano tra di loro plurimi caratteri comuni, dell’arresto illegale (art. 606 c.p.) e del sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere del pubblico ufficiale (art. 605, co. 2, c.p.). Nella fattispecie ad essere imputati erano alcuni militari della GdF cui era stato contestato il reato di sequestro di persona aggravato nei confronti di alcuni soggetti che erano stati da essi condotti in caserma per essere indebitamente trattenuti per mezza giornata al fine di essere sentiti come testimoni – La Cassazione, nell’affrontare il tema, dopo aver operato una interessante quanto utile disamina dei tratti comuni e differenziali delle due fattispecie (escludendo l’esistenza di un apparente contrasto giurisprudenziale), ha disatteso la tesi difensiva, confermando la correttezza dell’assunto accusatorio secondo cui il fatto andava inquadrato nell’ipotesi dell’art. 605, co. 2, c.p., anziché in quella di arresto illegale.

“Nel caso di specie non ricorre né l’elemento oggettivo né tanto meno quello soggettivo del diverso reato disciplinato dall’art. 606 c.p., giacché le persone offese erano state trattenute in caserma non già con la finalità di avviare nei loro confronti una procedura di arresto in flagranza di reato, ma con la diversa finalità di raccogliere le loro deposizioni. Peraltro, il trattenimento in Caserma si è caratterizzato anche con modalità violente poste in essere dai militari e connotate da evidente illegittimità ed arbitrio, con ciò evidenziando la corretta riconducibilità della fattispecie di reato nel paradigma applicativo dell’art. 605 c.p.”.

Cass. Pen. n. 3413/1996

Il delitto di arresto illegale, così come quello di perquisizione arbitraria, richiede per la sua configurazione l’abuso di potere del pubblico ufficiale, rientrando così fra le ipotesi di reato a cosiddetta illiceità o antigiuridicità speciale. Conseguentemente, l’abuso o l’arbitrarietà dell’atto compiuto, oltre ad essere parte integrante del fatto di reato, condiziona anche la sussistenza del dolo, che consiste nella coscienza e volontà dell’abuso delle funzioni da parte dell’agente.

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PERQUISIZIONE ARBITRARIA – art. 609 Codice Penale

“Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o un’ispezione personale, è punito con la reclusione fino ad un anno.”

La disposizione in esame tutela il bene della libertà personale dei singoli, garantendo anche l’interesse della P.A. ad uno svolgimento corretto delle proprie funzioni.

I delitti contro la libertà personale sono posti a tutela della libertà di movimento e di spostamento, che solo lo Stato, per mezzo dei suoi organi giurisdizionali, può limitare. La libertà personale rappresenta un diritto inviolabile ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione, prevedendosi in merito una riserva assoluta di legge.

La norma in esame punisce il pubblico ufficiale che abusi dei suoi poteri al fine di eseguire perquisizioni (art. 247 c.p.p.) o ispezioni personali (art. 245 c.p.p.) non consentite.

Il delitto è per vero configurabile non soltanto quando manchino i presupposti legali per procedere all’atto, ma anche quando esso sia attuato in maniera difforme da quanto normativamente previsto.

Tuttavia, va precisato che, in quest’ultimo caso, qualora la condotta del pubblico ufficiale si manifesti in maniera violenta, tale da provocare lesioni personali, il delitto in oggetto resterà assorbito da quello più grave di cui all’articolo 582 c.p., aggravato dalla qualifica.

Inoltre, tale delitto, così come quello di arresto illegale (art. 606 c.p.), richiede per la sua configurazione l’abuso di potere, rientrando tra le ipotesi di reato ad illiceità o antigiuridicità speciale.

Commento

La norma in esame punisce il pubblico ufficiale che, volontariamente, esegua una perquisizione o un’ispezione personale, nella consapevolezza di abusare dei poteri relativi alle proprie funzioni.

Elemento costitutivo della fattispecie in esame è l’abuso di potere realizzato dal pubblico ufficiale. Tale circostanza fa sì che quello punito ai sensi dell’art. 609 c.p. rientri tra le ipotesi di reato a cosiddetta illiceità o antigiuridicità speciale, con la conseguenza che l’abuso o l’arbitrarietà della condotta dell’agente, oltre ad essere parte integrante del delitto stesso, condiziona anche la sussistenza dell’elemento soggettivo.

È un reato proprio in quanto soggetto attivo può essere esclusivamente un pubblico ufficiale. Non può, quindi, essere punito ai sensi dell’art. 609 c.p. nemmeno colui che sia incaricato di un pubblico servizio.

La condotta tipica consiste negli atti abusivi con cui l’agente esegua una perquisizione o un’ispezione personale. La perquisizione personale consiste nella ricerca di cose relative ad un reato, eseguita su una persona. L’ispezione personale è, invece, la ricerca di elementi di prova relativi ad un determinato reato, realizzata sul corpo di una persona.

Si verifica un abuso nel compimento di una perquisizione o di un’ispezione qualora la loro esecuzione avvenga al di fuori delle funzioni, dei casi, delle condizioni e delle formalità che le rendano legittime. Ciò significa che la fattispecie in esame è configurabile non solo nel caso in cui manchino i presupposti richiesti dalla legge al fine di realizzare una perquisizione o un’ispezione personale, ma anche qualora queste ultime siano realizzate in maniera diversa da quella prevista dal legislatore.

La persona su cui venga realizzata la perquisizione o l’ispezione personale costituisce l’oggetto materiale del reato.

La fattispecie si considera consumata nel momento in cui si realizza l’evento tipico, rappresentato dalla manomissione della persona del soggetto passivo o dalla sua costrizione o induzione all’obbedienza, quale conseguenza della condotta criminosa posta in essere dall’agente.

È ammesso il tentativo qualora l’agente abbia dato avvio ad atti idonei e non equivoci diretti all’esecuzione della perquisizione o dell’ispezione.

Nel caso in cui vi sia contesto d’azione, i vari atti di perquisizione ed ispezione costituiscono un solo reato.

Ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame è sufficiente che sussista, in capo all’agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di eseguire la perquisizione o l’ispezione personale abusando dei poteri inerenti alle proprie funzioni di pubblico ufficiale.

 

Giurisprudenza

Cass. Pen. n. 25709/2011

Il delitto di perquisizione arbitraria è configurabile non solo quando siano in concreto assenti le condizioni richieste dalla legge per il compimento dell’atto, ma anche quando esso sia realizzato con modalità illegali. Nella specie la perquisizione, legittimamente disposta ai sensi dell’art. 103 del D.P.R. n. 309 del 1990, era stata violentemente eseguita, provocando lesioni al soggetto perquisito.

L’esecuzione di una perquisizione con modalità violente, tali da provocare lesioni sulla persona del soggetto perquisito, integra unicamente il reato di lesioni personali volontarie aggravate dalla qualità di pubblico ufficiale, restando in esso assorbito il delitto di perquisizione arbitraria. In motivazione la Corte ha precisato che, a ritenere diversamente, sarebbe ravvisabile un solo reato complesso perché, quando l’arbitrarietà di traduce in lesioni, queste ultime dovrebbero ritenersi elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 609 c.p., complesso a norma dell’art. 84 c.p..

Infatti, “ancorché la perquisizione sia stata effettuata in presenza delle condizioni di legge che la legittimano ma la stessa sia considerata arbitraria solo per le modalità illegali con cui venga effettuata, ed allorché tali modalità illegali si risolvano unicamente in un comportamento, come le lesioni volontarie, che è già previsto come reato da una norma penale generale e nel caso concreto intervenga condanna per questo diverso reato, allora il reato di perquisizione arbitraria resta assorbito in questo reato, ed in particolare in quello di lesioni volontarie aggravate dalla qualità di pubblico ufficiale dell’agente”.

Cass. Pen. n. 164/1972

L’ordine di sequestro di cose pertinenti al reato e reperibili in un determinato luogo, che può essere anche l’abitazione dell’imputato, va distinto dall’ordine di perquisizione domiciliare, avendo quest’atto caratteristiche ben diverse dal sequestro; con questo invero si provvede soltanto ad acquisire al processo le cose che sono pertinenti al reato e che non si ritengono occultate da chicchessia, mentre la perquisizione è l’atto col quale s’intende anzitutto rintracciare le cose pertinenti al reato che si sospettano occultate. Ne consegue che, se anche il decreto di sequestro indica il luogo dove possono reperirsi le cose da sequestrare, non per questo il provvedimento si qualifica come ordine di perquisizione, che oltre ad una sua precisa qualificazione nominalistica, postula un sospetto di occultamento che giustifica quella particolare attività di ricerca che costituisce l’atto stesso di perquisizione.

Cass. Pen. Sez. 5, n. 8031/2017

Il titolo utilizzato dalla rubrica dell’art. 609, che contiene il termine “arbitrarie”, se, da un lato, non è da solo sufficiente a qualificare la condotta illecita prevista dalla norma, dall’altro, non può non orientare l’interprete nell’operazione ermeneutica di individuare i casi nei quali la perquisizione o l’ispezione personale integri gli estremi di un reato, tenuto conto che già i termini di “abuso”, di “uso anomalo dei poteri” non evocano situazioni caratterizzate da una semplice inosservanza di leggi, regolamenti, istruzioni etc., richiamando, invece, concettualmente lo sviamento dei poteri, l’esercizio dell’autorità per finalità diverse da quelle per le quali la stessa è stata conferita, l’estraneità dell’esercizio del potere pubblico rispetto al fine perseguito dalla legge.

In tale prospettiva, a titolo di esempio, perché la perquisizione effettuata dalla PG di propria iniziativa a norma dell’art. 352 c.p.p. possa ritenersi arbitraria e raggiungere la soglia della illiceità penale, occorre un quid pluris rispetto al mancato rispetto in concreto dei requisiti fissati dal codice di rito – violazione peraltro già sanzionabile con la non convalida da parte della Autorità giudiziaria – essendo quindi necessario accertare la totale mancanza anche in astratto dei presupposti previsti dalla legge, ed una tale situazione ricorre allorquando l’atto del pubblico ufficiale non sia semplicemente erroneo o connotato da negligenza, imprudenza o imperizia ma caratterizzato dal deliberato proposito di eccedere le proprie attribuzioni per finalità diverse da quelle per cui gli sono stati attribuiti i pubblici poteri.

Cass. Pen. Sez. 5, n. 8031/2017

La condotta del PM, per integrare gli estremi della perquisizione arbitraria a norma dell’art. 609, deve essere connotata dal deliberato proposito di eccedere le proprie attribuzioni per finalità diverse da quelle per cui gli sono stati attribuiti i pubblici poteri, non essendo sufficiente che in concreto non sia stata rispettosa di una norma processuale penale in tema di perquisizioni.

Cass. Pen. 20 maggio 2020, n. 15537

La facoltà di procedere a perquisizione domiciliare per indizio di detenzione di armi non può essere esercitata sulla base di un mero sospetto, che può trarre origine anche da un personale convincimento; essa presuppone l’esistenza di un dato indiziante, teso a rappresentare la presenza dell’arma in un determinato luogo, ma non richiede che tale dato sia stato raccolto conformemente ai modelli procedimentali del codice di rito, sicché è pacifica in giurisprudenza la considerazione del possibile utilizzo, a tal fine, di informazioni fornite da fonti confidenziali.

L’attività di perquisizione diretta alla ricerca delle armi, rientrando anche, e principalmente, in un’attività di carattere preventivo, non presuppone l’esistenza di una notizia di reato e non richiede, pertanto, la pre-condizione costituita dall’autorizzazione dell’autorità giudiziaria; non presupponendo la commissione di un reato e, dunque, non essendo funzionale alla ricerca e all’acquisizione della prova di un reato di cui risulti già l’esistenza, può essere eseguita anche solo sulla base di notizie confidenzialmente apprese e senza obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all’assistenza di un difensore, giacché procedendosi sulla base di notizia confidenziale, non v’è, né può esservi, alcun indagato.

La tutela accordata alla libertà di domicilio non è assoluta, ma trova dei limiti stabiliti dalla legge ai fini della tutela di preminenti interessi costituzionalmente protetti: la normativa di cui al R.D. n. 773 del 1931, art. 41 è giustificata dalla esigenza di porre gli organi di polizia giudiziaria in grado di provvedere, con prontezza ed efficacia, in ordine a situazioni (quali la detenzione clandestina o comunque abusiva di armi, munizioni o materie esplodenti) idonee, per loro stessa natura, ad esporre a grave pericolo la sicurezza e l’ordine sociale.

Dr. Alberto Intini

 

Roma,   dicembre 2022